Monta Ellis: maturità di un leader?

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Monta Ellis incarna un emblema cestistico: il self-made-scorer, l’atleta capace di costruire sulla rabbia di un Draft negativo e sui pregiudizi di tutta l’America una carriera fulminea. Troppo basso per diventare una guardia vera e troppo egoista per gestire il gioco, troppo poco flash per seguire il solco di Dwyane Wade e troppo poco smart per scorgere le orme dei calcolatori, troppo in ritardo per imporre la capacità superiore dai 7.25 a una Lega di neofiti e troppo in anticipo per sfruttare la moda delle combo-guards, troppa trama e poco ordito: i primi mesi della carriera NBA del prodotto della Lanier High School imprimono sulle ombre lunghe del Golden Globe le contraddizioni di una scelta dubbia e i problemi di una squadra che cerca un posto sulla scacchiera NBA. Dopo le brume dei primi anni Duemila i Golden State Warriors concedono un po’ di spazio al ragazzo di Jackson – Mississippi e scorgono le fiamme della furia offensiva nelle sue pupille vivaci: Monta sfrutta la stagione da sophomore per accendere il pubblico della Baia e gridare alla Lega il sogno di una conquista fulminea.

Da giocatore più migliorato a sensazione più forte della sorpresa più incredibile dell’Ovest, da stella nascente a caso contrattuale, da macchina offensiva a problema di sviluppo: Ellis alimenta l’adrenalina del back-court mentre cavalca le contraddizioni di uno stile che non prende prigionieri. Pochi esterni trasformano i vuoti in pieni con la stessa determinazione che anima le sue giocate, ma quasi nessuno strappa linfa vitale ai compagni di squadra con la medesima voracità: Monta crea vantaggi dinamici con la visione impressionistica dell’1vs1 e disegna statistiche abbacinanti con l’energia esplosiva di una mente rapida, nasconde i limiti di altezza con le marce alte dell’intensità e abbatte lo scetticismo dei detrattori colorando ogni settore delle mappe di tiro, ma i suoi Warriors non crescono. Mentre Ellis stampa numeri da All-Star, un bambino-prodigio soffoca nella culla e attira l’attenzione della dirigenza: Monta finisce ai Bucks e accentua i lucrosi solipsismi dell’Oracle Arena, Stephen Curry si manifesta al mondo e costruisce il sistema più elettrizzante dell’attualità cestistica. Golden State germoglia e Milwaukee ristagna nelle paludi centrali della Eastern Conference, ma due anni dopo l’esilio del Wisconsin il leader effimero della prima rinascita post-Run TMC trova l’occasione del riscatto: i Dallas Mavericks gli offrono un contratto e le chiavi realizzative del back-court, Ellis accetta e si cala in un ruolo importante. Nowitzki guida la squadra e toglie pressioni agli esterni, Monta prende contatto con l’ambiente e cresce nel momento più importante della stagione: la corazzata San Antonio si accorge della straordinaria sagacia tattica di coach Carlisle e scopre l’impensabile vena difensiva di uno dei peggiori pacchetti arretrati della Lega. Calderon e Carter impressionano, ma Monta Ellis toglie a lungo il fiato ai big-three in nero-argento.
La testa di serie numero 1 vince il derby del Texas grazie al dominio totale di Gara 7 e al calo vistoso dei Mavericks, ma il presidente Mark Cuban torna a sognare i fasti del recente passato: Nowitzki firma un contratto “leggero” per attirare nuovi free-agent e la dirigenza strappa agli Houston Rockets la solidità poliedrica di Chandler Parsons, Tyson Chandler torna all’American Airlines Center e riaccende definitivamente l’entusiasmo difensivo di Rick Carlisle. Dallas prepara un’altra rincorsa all’Anello, ma la gloria passa attraverso la capacità di condividere responsabilità e obiettivi. Monta Ellis sarà l’uomo giusto per questo scenario?

FREDDEZZA E MATURITÀ: UNA CRESCITA DECISA

Gli appassionati delle statistiche lineari non avvertono le scosse tecniche che assestano gli equilibri del gioco. I fogli-base di Monta Ellis fanno registrare 20.6 punti, 2.4 rimbalzi, 4.7 assist, 1.5 recuperi e 2.6 palle perse a sera con il 50% da due, il 30% da tre e il 78% ai liberi; queste voci non si discostano in maniera sensibile dalle medie che il nativo di Jackson ha fatto registrare nell’arco della sua carriera, ma non tengono conto di un dato piuttosto rilevante: Ellis rimane sul campo 33.7 minuti a partita, quasi due primi e mezzo in meno rispetto all’impiego medio del passato. Questo elemento si riflette sull’efficacia del #11 sul parquet: Monta gestisce con maggiore oculatezza i periodi di utilizzo e produce risultati di qualità superiore, che filtrano attraverso le statistiche avanzate. L’aumento sensibile del Player Efficiency Rating – 19, a fronte di una media-carriera di 16.9 – e l’incremento notevole dell’Usage – l’intensità con cui una squadra “cavalca” un giocatore in attacco, 29.2, a fronte di una media-carriera di 25.9 – testimoniano l’importanza strategica della gestione del cronometro e del controllo del ritmo.

Se si passa dai bytes scientifici delle tendenze analitiche alle sensazioni del campo, la trasformazione di Monta traspare in bella evidenza nello scenario esaltante dell’attacco dei Mavericks: Ellis vede la forza dei compagni e accetta di condividere con molti di loro le responsabilità del motore offensivo. Non c’è più “solo” Nowitzki: Chandler Parsons offre una straordinaria pericolosità perimetrale e una notevole alternanza di registri tecnici, Tyson Chandler regala ai pick-n-roll di Rick Carlisle una dimensione verticale che trasforma i pop del tedesco in armi letali, JJ Barea cambia il ritmo e semina dosi di imprevedibile follia nei pochi momenti di stasi, Richard Jefferson instilla nello spogliatoio l’arte di arrangiarsi di un ex-cyber-atleta che ha imparato a vivere l’NBA attraverso i piccoli dettagli offensivi, Al-Farouq Aminu accende la metà campo con l’esplosività verticale che Brandan Wright porterà al Boston Garden. Le titubanze di Jameer Nelson e i ritardi di Raymond Felton inquietano lo staff tecnico? Le soluzioni si aprono in un bivio: trade e Monta!
L’arrivo di Rajon Rondo spalanca prospettive intriganti e innesca processi controversi nel sistema dei Mavs, ma l’ascesa matura di Ellis plasma le dinamiche dei quarti periodi dell’American Airlines Center. Nowitzki ha bisogno di rifiatare? Il numero 11 sale in cattedra con il carisma di un leader e toglie le castagne dal fuoco grazie alla varietà esplosiva del suo talento. Serve una giocata decisiva? La faretra di Monta comprende frecce di ogni tipo: perimetro o penetrazione al ferro, circus shot o buzzer beater, possesso caldo o ultimo tiro, la guardia del Mississippi dimostra di vivere come un iniziato del gioco i momenti cruciali dei match. Le point-guards stentano? Ellis gestisce il pallone e s’impegna a mettere in ritmo la poderosa macchina offensiva di Dallas. Le statistiche non mentono, ma il bilancio W-L colloca i Mavericks al settimo posto dell’Ovest selvaggio: basterà l’ex-faro stroboscopico dei Boston Celtics ad assicurare il salto di qualità e ad agganciare l’élite della Lega?

DA RONDO AI PLAYOFFS: TURNING POINT

Rajon Rondo entra nel roster di Rick Carlisle con il ritmo sincopato e irresistibile che ha contraddistinto la carriera di un’autentica sensation. Anche se è difficile pensare che gli ingranaggi offensivi semi-perfetti di Dallas possano conoscere un ulteriore miglioramento, le qualità difensive della point-guard di Louisville in versione Fab-Four garantiscono un passo avanti sensibile rispetto alle incertezze della prima metà della stagione, ma gli orizzonti tecnici che si aprono al cospetto dello staff mostrano una grossa contraddizione: Rondo ama gestire il pallone per lunghi frangenti e adora imporre il suo ritmo – inarrivabile e incomprensibile per molti comuni mortali – alle partite delle squadre che guida, ma anche Monta Ellis ha bisogno di sentire il cuoio sui polpastrelli con grande continuità e vive di istinti che contravvengono alla gestione apollinea del cronometro. Rajon ha manifestato fin dal primo momento il desiderio profondo di vivere un altro viaggio trionfale e ha espresso la voglia insindacabile di adattarsi al compagno di back-court, ma le strane stelle di Dallas riusciranno davvero a trasformare i loro talenti, le meraviglie di Nowitzki, la forza di Chandler e la completezza di Parsons negli ingredienti di una macchina da titolo? La forza della Western Conference e la lunghezza della strada coltivano i dubbi e accendono le domande, ma un solo dato sembra già certo: per sognare in grande, i Mavericks hanno bisogno della maturità – eccitante e sorprendente – del leader più curioso e controverso dei back-court moderni, mister Monta Ellis.

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