Voglia di luce e paura del buio: l’inverno del Gallo

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Pepsi Center, Denver, 29 novembre 2014. The crowd is going wild. I Nuggets hanno appena offerto una delle prestazioni migliori degli ultimi diciotto mesi: i rampanti Phoenix Suns di Jeff Hornacek hanno lasciato le ambizioni di grandezza negli spogliatoi dell’Arizona e sono rimasti senza fiato di fronte allo spettacolo tecnico-atletico degli alfieri della Mile-high City. Goran Dragic, Eric Bledsoe e Isaiah Thomas? Soli sbiaditi in un inverno di pepite scintillanti: la bizzarra banda di Brian Shaw ha suonato una cavalcata impetuosa e si è sintonizzata sull’armoniosa frequenza del 50%. Otto vittorie nelle ultime dieci partite, tanti sorrisi e pochi mugugni, pensieri positivi e profumo di alba: il Colorado si riempie di entusiasmo e abbraccia una squadra che tenta la scalata alla Conference più profonda, competitiva e scintillante degli ultimi anni.

La Playoffs mission dei Nuggets è davvero possible, in questo West un po’ wild e molto grit-and-grind? Lo sguardo familiare di un talento cristallino si fa largo tra le tempeste del dubbio e propone il suo nuovo argomento. Danilo Gallinari ha voglia di rientrare nel cerchio che gli compete, sente che l’aria di Denver riempie il suo agonismo pitagorico, coccola il suo ginocchio e accarezza un sogno; poche ore dopo l’ultimo spavento, il suo scout sussurra l’all-around language dei momenti più belli fra le sfumature curiose del garbage-time. Il pubblico dei Nuggets e gli appassionati italiani sospirano e fremono: sarà l’ennesimo fuoco fatuo di una fase maledetta o il primo capitolo di una splendida rinascita? All’inverno del Colorado e alle salite dell’Ovest l’attesa sentenza, ma quali prove intasano i fascicoli del consiglio?

L’ODISSEA

L’infortunio di Gallinari è tutt’altro che raro nello sport post-moderno: l’estremo sviluppo atletico delle discipline e l’enorme stress che le stagioni NBA impongono alle strutture fisiche dei giocatori provocano un forte logoramento, ma le esigenze di marquee e le richieste dell’Olympic Tower spingono gli allenatori a cavalcare i loro effettivi anche nelle situazioni più precarie e complesse. Gli acciacchi e le tossine che le interminabili maratone cestistiche lasciano nei muscoli dei protagonisti della Lega rendono più vulnerabili i loro cyber-corpi e moltiplicano i rischi di infortuni. Nell’aprile 2013 Gallo ha pagato un conto molto salato a una sorte che non gli ha mai mostrato particolare benevolenza: la massa ineffabile del compianto “Tractor” Traylor e – si dice – le sfide infernali della sala-pesi del Garden hanno inflitto danni notevoli alla sua schiena e hanno trasformato l’impatto con l’NBA in una tripla sfida al sistema.

Danilo Gallinari - Foto figurina Panini Danilo non si è dato per vinto: la superba intelligenza cestistica della sua mente ha coniugato un gioco capace di tramare linee argute fra il perimetro e il verniciato anche in contumacia-gambe o in assenza di esplosività. Sui parquet d’America il vantaggio fisico-atletico dei tempi di Milano è diventato un enigma: Gallo era ancora molto più tecnico del 90% dei suoi avversari e riusciva a sorprenderli con uno sterminato ventaglio di soluzioni, ma l’esuberanza esplosiva o la potenza orizzontale dei suoi avversari cambiavano il paesaggio tecnico di entrambe le metà campo a stelle e strisce. Il figlio di Vittorio ha firmato i suoi esordi newyorkesi con la fionda e ha costruito la sua carriera in Colorado con la razionalità apollinea di un superbo equilibratore offensivo: le sue medie di tiro non hanno più attirato l’attenzione degli statistici e le cifre dei suoi scout sono sempre rimaste nel confortevole territorio della medio-alta borghesia NBA, ma l’impatto silenzioso della sua mente ha contribuito a plasmare le splendide avventure dell’ultima epifania tecnica di George Karl.

16.2 punti, 45% da due, 37% abbondante da oltre l’arco, 5.2 rimbalzi, 2.5 assist e un significativo 21% di usage: quando Nowitzki e i Dallas Mavericks vedono la smorfia di dolore che rapisce il volto di Danilo, i career-highs e le speranze di una grande cavalcata nella post-season si sfilacciano insieme al legamento crociato del ginocchio sinistro. Mentre i Nuggets assistono alla consacrazione di Stephen Curry, lasciano strada ai Golden State Warriors e silurano coach Karl, Gallinari si affida al dottor Richard Steadman, un medico che ha seguito Kobe Bryant e Tiger Woods e che ha rimesso in piedi Bode Miller a tempo di record; lo staff sanitario non ricostruisce il legamento, ma ripara la lesione con un metodo innovativo, capace di garantire un pieno e rapido successo nel 77% dei casi. Cinque mesi dopo, Danilo finisce nel lato sbagliato della luna ed è costretto a interrompere la riabilitazione: la franchigia del Colorado lo sostiene, ma deve accompagnarlo di nuovo sotto i ferri e aspettare un recupero semi-infinito. La stagione 2013-2014 del Pepsi Center si perde in un groviglio di problemi e infortuni, ma getta le basi per una possibile riscossa: i guai della front-line accendono la stella infuocata di Kenneth Faried e la regolare operosità di J.J. Hickson, mentre Ty Lawson offre sprazzi di dominio sul perimetro e Wilson Chandler dimostra di saper offrire la trama e l’ordito che coach Brian Shaw richiede ai suoi swing-men. L’atmosfera di Denver si riempie di sussurri speranzosi: “se solo tornassero Gallinari e McGee…

RIABILITAZIONE E RECUPERO: FRA MENTE E GINOCCHIO

Il Training Camp 2014 proietta i Nuggets in un’atmosfera entusiasmante: Ty Lawson annuncia ai media che la sua squadra è già pronta per l’assalto ai piani alti dell’Ovest (!), mentre Kenneth Faried si gode la gloria mondiale di Madrid. Gallinari strabilia tutti con un’esibizione balistica da capogiro, ma la sua mente e il suo ginocchio scalano in silenzio le pareti del sospetto: diciotto mesi d’inattività forzata hanno lasciato segni profondi sulla psiche tecnico-atletica di un ragazzo nato per giocare. La voglia divora i muscoli, ma la paura di un altro crack si nasconde negli anfratti oscuri dell’inconscio; la fame di parquet morde lo spirito e l’intelletto cestistico brilla negli occhi, ma il ritmo sincopato del pallone NBA e le contorte dinamiche tattiche dell’alba stagionale intasano la bussola tecnica del Gallo. Wilson Chandler e l’ultimo arrivato Alonzo Gee scalpitano, mentre Danilo cerca nella sua memoria muscolare le sensazioni che lo hanno portato alle soglie del Gotha NBA. La risalita gli riempie la fronte di sudore, ma non spegne mai il suo ottimismo: la rottura del legamento crociato gli ha tolto l’ultimo passo verso l’élite? Gli anni migliori della sua carriera gli offriranno un’occasione di riscatto; la riabilitazione lo ha allontanato dall’All-Star Game? Le stagioni del futuro lo avvicineranno alla meta dei suoi sogni. Le parole s’intrecciano ai propositi, ma restano fuori dagli scout; la pre-season è un calderone di gioie da ritorno e difficoltà da rientro, ma gli allarmi restano bassi.

Le prime palle-a-due ufficiali scatenano i campanelli degli scettici: quindici match e due sole partenze in quintetto, 19 minuti di utilizzo medio e 7.4 punti con un misero 37% dal campo e il 32% dal perimetro, l’usage più basso dal rookie year e una preoccupante difficoltà di relazione cestistica con la second-unit dei Denver Nuggets. Il Pepsi Center attende una partenza lanciata, ma si schianta con un tremendo 1-6: mentre Brian Shaw finisce sulla graticola per il filotto di sconfitte, la stampa dipinge il GM Connelly come un personaggio goffo e totalmente inesperto. Alcuni invocano l’assalto a una superstar, altri chiedono la benedizione delle stelle; molti dubitano del pieno recupero di Gallinari e dell’integrità psichica di McGee, pochi sembrano disposti ad avere pazienza. Per la fortuna del Mile-high basketball, Brian Shaw fa parte di questo scarno novero: lascia passare la notte più lunga e si aggrappa alle solite certezze di Wilson Chandler, alimenta l’uragano-Faried e accende l’estro di Ty Lawson, sfrutta la voglia di Alonzo Gee e cavalca la versatilità matura del nuovo Afflalo, aspetta JaVale e dà tempo a Danilo. La tempesta si allontana: Denver comincia a vincere e il gioco dei Nuggets risveglia il Pepsi Center dal suo lungo torpore. Le ultime dieci gare disegnano un lusinghiero 8-2 e cambiano le prospettive di una stagione enigmatica: gli ingredienti per il decollo riempiono il parquet e attendono un collante che li trasformi in un gustoso prodotto d’esportazione.

IL FUTURO

Anche se l’ottima vena di Chandler esclude il ritorno in quintetto di Gallinari nel breve-medio termine, la natura tecnica dei Nuggets ha bisogno dell’apporto poliedrico dell’ex-stella di Milano. Le vicende della “democrazia cestistica” di George Karl si prestano alle interpretazioni più divergenti, ma ricordano a Brian Shaw l’importanza di un intelletto capace di saldare le folate improvvise dei grandi atleti alla dimensione stazionaria dei big-men. Danilo ha dimostrato la sua straordinaria attitudine a integrarsi nei sistemi offensivi e a costruire gioco senza perdersi nei pericolosi solipsismi delle superstar, ma la singolare condizione del suo rientro richiede un notevole margine di pazienza; nonostante le normali discrasie legate all’inattività, il quadriennale da 42 milioni di dollari che ha firmato nel 2012 impone una significativa accelerazione del suo recupero.

L’ambiente di Denver si aspetta il rientro di un giocatore importante e di una pedina capace di cambiare gli equilibri di una squadra tanto intrigante quanto incompleta; la marcia di riscatto del Gallo sarà abbastanza rapida e incalzante per soddisfare le esigenze dei Nuggets? Le tensioni che l’ambiente e la stampa coltivano intorno alla panchina e alla scrivania del GM mineranno il progetto tecnico del dopo-Karl e porteranno la franchigia a mettere in piedi una trade per portare a Denver una superstar? Se l’impazienza e il desiderio di una metamorfosi radicale s’impossesseranno delle Rocky Mountains cestistiche, Danilo dovrà riprendere in considerazione l’idea di fare le valigie: qualora lo scenario suggerisse il corteggiamento a un nome caldo del mercato NBA, nessuna pedina sarebbe certa di mantenere il suo posto in Colorado. Le incertezze dei reduci dagli infortuni, le incognite del roster, i problemi della franchigia e gli interrogativi sullo status si mescolano ai sorrisi e alle speranze di una città che ha voglia di Playoffs e di un giocatore che vive con elettricità la sua rinascita NBA. Come on Gallo, against all odds!