Hawks allo scoperto: sono i nuovi padroni della Eastern Conference?

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Dopo 54 partite di regular season è tardi per definire gli Atlanta Hawks una cenerentola della Eastern Conference, la squadra che approfittando di un calendario favorevole si piazza davanti a tutti. Sono da considerare una squadra contender e qualche numero può aiutare anche i più scettici a ravvedersi. I San Antonio Spurs dell’est (come qualcuno inizia a chiamarli) allenati da coach Mike Budenholzer (prodotto ed orgoglio del leggendario coach degli Spurs, Gregg Popovich) vantano un record di 19 vittorie consecutive con un’incredibile 17-0 nel mese di Gennaio (mai accaduto nella storia della palla a spicchi americana) che è valsa all’intero starting lineup di Atlanta il titolo di giocatore del mese nella Eastern Conference.

I capi in testa dell’Est arrivano all’All-Star break con un record di 43 vittorie e 11 sconfitte e sempre in tema di ASG, quattro giocatori di Atlanta parteciperanno all’evento domenicale più ovviamente coach Budenholzer allenatore del team East e Dennis Schroeder chiamato a partecipare allo Skills Challenge.

I più maliziosi potrebbero osservare che gli Hawks, appartenendo alla conference più debole, ne abbiano tratto vantaggio: niente di più sbagliato. Contro avversari della Western Conference gli Hawks possono fregiarsi di un record di 15-4 ed hanno ottenuto almeno una vittoria contro le prime sei della conference occidentale (Golden State, Memphis, LosAngeles Clippers, Portland, Houston e Dallas). Inoltre, tra le squadre con record positivo nella Western Conference, solo San Antonio è riuscita (sul parquet amico) a strappare la vittoria a questi roventi Hawks.

L’improvvisa deflagrazione di Atlanta è da collocare ad inizio stagione, cioè quando i riflettori erano puntati su LeBron e Love a Cleveland, sui nuovi Miami Heat del dopo il Big Three eccetera. E questo non poteva che essere il momento perfetto per costruirsi una reputazione a suon di vittorie, e adesso chi la insegue nella Eastern Conference ha almeno 6 gare di ritardo (Toronto e Chicago) Cleveland ne ha addirittura 10 e mezza.

I progressi di Atlanta sono tangibili non solo osservando la classifica ma anche valutando le differenze rispetto agli Hawks dello scorso anno, sempre prima dell’All-Star break:

Gli Atlanta Hawks pre all-star game stagioni 2013-14 e 2014-15

Nella squadra dove non esiste un vero “go-to-guy” è la somma a fare il totale e tutti gli interpreti del gioco corale di Atlanta possono vantare statistiche degne di nota.

La cabina di regia è affidata all’ottimo Jeff Teague (17 punti e 7.5 assist a partita tirando con il 46.8% dal campo) che comincia a ripagare Atlanta dell’investimento fatto nel Draft 2009 e della fiducia accordata quando quattro anni fa fu ceduto Mike Bibby proprio per affidare a Teague il ruolo di playmaker titolare. A coronamento del suo momento d’oro è arrivata la prima convocazione all’All-Star Game.

Accanto a lui nel settore backcourt agisce uno dei tiratori da tre più pericolosi della lega, quel Kyle Korver (12.7 punti tirando con il 52.3% behind the arc) anche lui per la prima volta alla gara delle stelle e che condivide un passato in comune con Paul Millsap a Utah. L’ex prodotto di Lousiana Tech ed ex spalla di Al Jefferson a Salt Lake City è riuscito in Georgia a ritagliarsi un ruolo importante (16.8 punti e 7.9 rimbalzi) aggiungendo al proprio arsenale anche il tiro da 3 punti (che realizza il 34.6% delle volte).

Non va poi dimenticato Al Horford il quale dopo diverse stagioni tribolate da infortuni (più di 100 gare saltate negli ultimi 3 anni di regular season) offre alla causa 15.6 punti e 7.4 rimbalzi. Accanto ai già citati meritano senza dubbio una menzione d’onore DeMarre Carroll (l’unico elemento del quintetto a non essere convocato per l’All Star Game) oltre a Mike Scott e Dennis Schroeder che portano punti ed energia dalla panchina.

Con la qualificazione ai playoffs in cassaforte questi Atlanta Hawks dovranno dimostrare di essere diversi dalla squadra delle stagioni passate, che puntualmente si sgonfiavano ai playoffs tra le mani dei vari Joe Johnson o Josh Smith. Qualche indizio che la storia è cambiata c’è, ma non chiedetelo a Budenholzer perchè, come il suo maestro Pop, è di poche parole.