I playoff rimangono un miraggio: Nuggets nell’abisso della Western Conference

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Passare da una dichiarazione di Aaron Afflalo che, esaltato per il suo ritorno a Denver, affermava “I believe this is a championship team, under the right mindset and coaching“, ad una di Kenneth Faried che, deluso al termine di una stagione fallimentare, annuncia di non vedere l’ora che arrivino giorni migliori, fa capire a pieno il salto nel vuoto compiuto dai Nuggets quest’anno. Dalle stelle all’abisso, senza mezzi termini.

Certo, i Nuggets non erano effettivamente una squadra che avrebbe potuto ambire all’anello, soprattutto in una Western Conference di questo calibro, ma senz’altro i playoff potevano dirsi un obiettivo alla portata. Di certo in pochi si sarebbero aspettati una stagione tanto deludente, chiusa al 12esimo posto ad Ovest, con sole 30 vittorie e la bellezza di 52 sconfitte, il peggior record dalla stagione 2002/03 ed il nono più negativo nella storia della franchigia. Eloquente il passivo di 19 successi e 33 sconfitte contro le avversarie dirette di Conference, così come quello in trasferta, fatto di sole 11 gioie e ben 30 KO. Se il Pepsi Center, dopo la magica stagione da 38-3 di due anni fa, aveva smesso di essere fortino invalicabile già durante la scorsa regular season, quest’anno si è confermano terreno di conquista per 22 volte, mentre di vittoriose battaglie in appena 19 casi. Se i Kings avessero vinto una partita in più sarebbe arrivato il terz’ultimo posto assoluto in Western Conference, davanti soltanto ai nobili decaduti Lakers e alla peggior squadra NBA, i Timberwolves.

Partendo dall’analisi con i due giocatori citati in precedenza, Afflalo è stato senza dubbio tra le delusioni maggiori della stagione di Denver. Il classe ’85 da California è tornato a Mile High City da Orlando con tante speranze ed un’ottima stagione da 18.2 punti di media, con il 43% da oltre l’arco e oltre 3 rimbalzi e 3 assist a fare da contorno, alle spalle. Quest’anno, però, nelle 53 partite giocate con i Nuggets, prima di trasferirsi ai Blazers, ha messo insieme appena 14.5 punti, con il 33% da tre punti, e numerose prestazioni mediocri, soprattutto ad inizio stagione, che hanno fatto cominciare la squadra col piede sbagliato (1-6 nelle prime 7 giocate). Non che Faried sia tornato Manimal, anzi. Dopo un Mondiale vinto da protagonista con la nazionale, ci si aspettava una crescita esponenziale anche in NBA, soprattutto in termini di costanza di rendimento. Invece, la solita stagione tra alti e bassi, con più ombre che luci a dir la verità, chiusa con 12.6 punti e 8.9 rimbalzi di media, numeri insufficienti per un talento come il suo.

Chi aveva cominciato la stagione col botto ed è andato spegnendosi con l’andare dell’annata è Ty Lawson. Tra novembre e gennaio, il prodotto di North Carolina ha scritto numeri importantissimi, quali 16.8 punti e 10 assist a partita, chiudendo in due dei tre mesi con un plus/minus positivo, che hanno tenuto a galla Denver e fatto sperare in uno sprint finale per i playoff, che però non è arrivato. Basti pensare che Lawson nel mese di marzo ha segnato appena 11.9 punti di media, smazzando 8.9 assist. Nonostante questo, ha comunque battuto il record di assist in una stagione di Nick Van Exel (714), con 720 totali. Ha vissuto il processo inverso Danilo Gallinari, uscito finalmente dal tunnel degli infortuni che ne hanno caratterizzato la scorsa annata. Dopo un inizio di stagione a dir poco complesso, sempre sotto i 10 punti di media nei primi quattro mesi sul parquet, tirando con percentuali bassissime, il Gallo è tornato a far sognare Mile High City. Se febbraio è servito per tornare in fiducia, tra marzo e aprile Danilo ha messo insieme ben 20 punti a partita, tirando con il 47% dal campo ed il 42% da oltre l’arco, aggiungendo oltre 5 rimbalzi ed un plus/minus di +7.2 al già ottimo fatturato. Peccato che la stagione si sia chiusa in modo tanto deludente per il team.

Se buona è stata la regular season di Wilson Chandler, spesso miglior realizzatore di squadra e con 13.9 punti e 4.9 rimbalzi all’attivo a partita, ha deluso moltissimo J.J. Hickson, che ha giocato 73 partite e totalizzato appena 7.6 punti e 6.2 rimbalzi di media, numeri ben lontani da quelli ottimi del suo passato recente. Dopo che Timofey Mozgov è andato a dare man forte a LeBron James a Cleveland e Javale McGee è volato a Philadelphia, una buona parte del peso sotto canestro è finito sulle spalle del rookie Jusuf Nurkic, che si è difeso egregiamente e ha messo in mostra dei valori che ne possono fare uno dei pilastri della squadra del futuro. Se il problema per Denver non sono stati di certo i punti segnati, 101.5 a partita, 12esimo fatturato in NBA, o i rimbalzi raccolti, ben 44.7 di media, sono state le prestazioni difensive la rovina dei Nuggets, che hanno subito 105 punti a partita e 105.5 ogni 100 possessi avversari. Un disastro che ha piegato le gambe alla squadra.

Dopo le 684 partite, con 423 vittorie, di George Karl sulla panchina di Mile High City, il suo sostituto, Brian Shaw, ha deluso talmente tanto le attese da essere esonerato alla seconda stagione da head coach di Denver. Ora sarà il turno di Melvin Hunt, assistant coach negli ultimi 5 anni. Si parla ormai da giorni di una possibile trade che possa allontanare Lawson dai Nuggets, anche se nessuna fonte l’ha confermato. Privarsi del proprio giocatore più importante è sempre un’arma a doppio taglio, ma di certo l’estate dovrà essere di quelle decise ed importanti per poter tornare al vertice. Sperando che il nostro Gallo continui a suonare la sveglia.

3 COMMENTS

  1. Il problema non è tanto l’annata pessima ma piuttosto il senso di confusione che gira intorno alla squadra, ci fosse una direzione chiara e precisa (i Jazz o anche il tanking di NY) non ci sarebbero grossi problemi ma vivacchiare così è il peggio che una squadra come Denver possa fare.
    Della trafila con Shaw ne ho già parlato ma ci sono stati altri errori: i tanti contratti in scadenza tra questo ed il prossimo anno (per giocatori comunque validi come Chandler ma anche Hickson che avrebbe potuto sicuramente allungare la panca di qualche squadra PO) offrivano buone opportunità in sede di mercato ma non sono stati sfruttati adeguatamente.

    • In effetti oltre alla confusione a livello tecnico quello che preoccupa di più è la confusione a livello dirigenziale di Denver.
      Non sanno cosa vogliono fare e con chi lo vogliono fare. Tanti buoni giocatori ma nessun vero leader. Se Gallo stesse sano e giocasse come l’ultimo mese potrebbe diventarlo lui.

      • Con tutto il rispetto e l’ammirazione che ho per il Gallo, a mio parere può essere leader emotivo, ma non primo violino di una squadra da titolo (spero di essermi spiegato). Detto questo una cosa mi era sembrata palese quest’anno, ovvero che i giocatori non seguissero Show. Adesso, non ho idea se vorranno cambiare coach o tenere Hunt, ma già con lui le cose erano leggermente migliorate. Devono comunque decidere in fretta cosa fare.

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