AK47 non sparerà più: ufficiale il suo ritiro

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Primo giocatore russo selezionato al Draft, Miglior giocatore dell’Europeo 2007, MVP della stagione Eurolega 2012, primo quintetto difensivo NBA e quintetto Rookie nel 2002. Sono solo alcuni dei record conquistati in carriera da Andrej Kirilenko, l’ala grande russa che ha conquistato l’America. Ak47 ha annunciato il ritiro dopo diciassette stagioni di basket trascorso facendo la spola tra la madre Russia e le montagne dello Utah (con piccole apparizioni in altre franchigie). Il più forte giocatore della storia sovietica nasce alle pendici dei Monti Urali, una gelida mattina di febbraio nel 1981. Madre natura gli regala un fisico impressionante, una stazza di 206 centimetri con piedi veloci e un’apertura di braccia fuori dal comune.
Certo, Andrej ci mette del suo, allenandosi giorno dopo giorno e perfezionando ogni particolare. Muove i primi passi nel Spartak San Pietroburgo, ma è con il passaggio al Cska Mosca che entra nel basket che conta, aggregandosi al team più popolare di Russia. Andrej nella capitale trova un ambiente ideale per esplodere, scrivendo una storia d’amore che assaporerà vittorie, addii, ritorni e grandi delusioni.

In Eurolega nella stagione 2000-2001 trascina l’armata rossa sino alle Final Four, concludendo con cifre importanti in diverse classifiche, tra cui punti, rimbalzi e stoppate. Una sera contro il Lietuvos Rytas diventa il secondo giocatore nella storia dell’Eurolega a confezionare una tripla doppia con 13 punti, 11 rimbalzi e 10 recuperi. Kirilenko si rivela un attore protagonista in campo internazionale, e tanto basta per ottenere la chiamata numero 24 degli Utah Jazz al Draft del 1999. A diciotto anni e centotrentadue giorni Andrej diventa il più giovane giocatore europeo selezionato dagli scout NBA oltre che il primo russo ad aver ricevuto una chiamata al primo giro.
I dubbi riguardanti l’esperienza oltreoceano vengono cancellati dalle buone prestazioni dell’ala che nello Utah apprende i segreti del basket direttamente dai professori Stockton-Malone. Coach Jerry Sloan individua in Andrej il perfetto totem difensivo che mancava alla compagine di Salt Lake City, affidando al russo la marcatura degli uomini più pericolosi della lega di basket più importante del mondo. Con l’addio di Malone, volato ai Lakers per conquistare l’anello che gli è sempre mancato e Stockton, causa ritiro, Kirilenko eredita i ruoli di capitano, affermandosi come punta di diamante di una compagine giovane, affamata ma poco vincente. I Jazz pagano una West Division altamente competitiva, mancando i playoff dopo oltre vent’anni di partecipazioni ininterrotte. Andrej si consola con i riconoscimenti individuali, con la chiamata all’All star Game e l’accesso al secondo quintetto difensivo.

Da sempre grande lavoratore, un’estate decise di lavorare con Jeff Hornachek, ex stella dei Jazz, perfezionando il tiro e diventato implacabile dalla media distanza. Difesa, recuperi e stoppate restarono le chiavi del gioco di Kirilenko, ma quel tiretto diventò un problema anche per le difese avversarie. Nel 2007 raggiunge le finali di Conference contro gli Spurs di Ginobili, Duncan e Parker. Erano i Jazz di Kirilenko, ma anche di Boozer, Okur e Williams, scelto al draft del 2005, una compagine che la storia non ha valorizzato pienamente, dimenticando troppo in fretta. Ma se l’NBA è stata avara di riconoscimenti, Andrej raggiunge la consacrazione agli Europei di Spagna 2007 con la maglia della propria nazionale. Immaginatevi sedicimila spagnoli al Palau di Madrid tifare la propria nazione che approda in finale dopo sei edizioni. Cori, flash, fumogeni in salsa castigliana. Kirilenko viaggia a diciotto punti di media, in finale annulla l’idolo locale Gasol, regalando l’oro ai russi. Sarà Mvp di quella manifestazione e negli anni successivi troverà anche il tempo di vincere una medaglia di bronzo in Lituania nel 2011 e un’altra ai Giochi Olimpici di Londra nel 2012, edizione in cui fu portabandiera della selezione russa.

Durante il Lockout NBA del 2012 torna in patria al Cska Mosca con l’obiettivo di vincere quell’Eurolega che gli manca. Al fianco di Teodosic, Krstic, Kaun, Shved, Khryapa e Vorontscevich, Kirilenko forma una delle compagini più forti e profonde mai ammirate in Europa. Il Cska Mosca marcia a ritmo spedito sino all’atto conclusivo in cui dilapida un vantaggio di diciotto punti regalando la coppa all’Olympiakos di Spanoulis e Printezis. Ad Andrej non basta il titolo individuale di Mvp dell’Eurolega a mitigare la più grande delusione della sua carriera. In estate torna in America nel Minnesota, ma vola poco dopo a Brooklyn conquistato dal progetto dell’oligarca russo Prokhorov che si diverte a collezionare le figurine di Garnett, Pierce, Terry e AK47 aggiungendole a quelle di Lopez, Johnson e Williams; un sogno che resterà tale, soffocato da un business utile a impressionare ma non a vincere, con Brooklyn fuori 4-1 contro Miami nei playoff. Andrej vola a Philadelphia dove non gioca neanche un minuto, prima del terzo ritorno al Cska Mosca consumatosi a febbraio, coronando gli ultimi fuochi d’artificio di una carriera a cui non si può chiedere altro.
Andrej, stanco e logorato dagli infortuni, torna in patria stabilendo una linea di continuità con il club della capitale cominciato nel 1997. Kirilenko e il Cska Mosca hanno scritto una storia d’amore a cui è mancato solo il lieto fine, fiumi di parole, inchiostro, canestri ma tante lacrime. Come quelle versate a Madrid, in semifinale appena qualche settimane fa, l’ultima recita del più forte giocatore della storia del basket russo.
Personaggio introverso e poco appariscente, Andrej Kirilenko ha saputo conquistare l’NBA senza le schiacciate di Lebron James o il “mood” di Shaquille O’Neal, mantenendo il carattere riservato di un ragazzo proveniente dalla lontana Russia. Poche le sfumature eclatanti vissute all’interno della sua carriera, un enorme tatuaggio di un drago dipinto sulla schiena, e quel soprannome, Ak47 attribuito giocando sul numero di maglia e la più famosa arma da fuoco sovietica. Ha annunciato il ritiro, appendendo le scarpe al chiodo e il Kalashnikov nell’armadietto. Vuole diventare un dirigente della Federazione Russa, per cambiare il basket e portarlo ai livelli che gli competono, ma forse un po’ lo ha già fatto. Chapeau Andrej, ci mancherai molto.