I protagonisti della settimana NBA: Steph Curry gladiatore dei meravigliosi Warriors

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In tre settimane di analisi dei protagonisti di questo inizio di regular season NBA è stato difficile nascondere Steph Curry ed i suoi Warriors. C’era il sentore, però, che qualcosa di grande stesse per succedere, che qualche record ancor maggiore rispetto a quelli già fatti siglare stesse per vacillare e crollare. Così è stato. Nella notte di martedì Golden State ha demolito la metà gialloviola di Los Angeles e si è aggiudicata la 16esima vittoria senza sconfitte per iniziare questa stagione. Mai nessuno aveva fatto meglio nella storia del basket a stelle e strisce.

Stephen Curry,   Golden State Warriors - Immagini fornite da Panini SPA
Stephen Curry, Golden State Warriors – Immagini fornite da Panini SPA
Per mettere insieme un simile score ci vuole, prima di tutto, una squadra meravigliosa, che sappia muoversi come un meccanismo perfetto. Tale è Golden State, capace di segnare 114.3 punti a partita su 29.6 assist di media, in cui entrambi i dati sono i migliori al momento nella Lega, 15.6 in più di quanti ne subisce da decima difesa complessiva e con appena 15.7 palle perse a partita. Parlando sui 100 possessi la musica non cambia, anzi incide un net rating spaventoso di +16.3 punti, neanche a dirlo, di spanne, il più proficuo. I catalizzatori di questa mentalità perfetta nelle due fasi di gioco sono Draymond Green ed Andre Iguodala. Il primo, anche soltanto statisticamente, rende l’idea di quanto possa essere diventato uno tra i giocatori più completi nel panorama NBA: 12.7 punti, con una percentuale reale al tiro del 60.3%, alzata vertiginosamente dal 43% da oltre l’arco, 7.8 rimbalzi e 6.6 assist di media, con un defensive rating che concede appena 94.7 punti ogni 100 possessi agli avversari. Il leader di questi Warriors nella statistica appena citata, però, non è lui, incredibilmente. Con Iguodala sul parquet i californiani subiscono la miseria di 93.3 punti ogni 100 possessi, un dato quasi insensato se si considera che, nello stesso lasso di tempo, Golden State segna 115.9 punti, per un net rating totale di +22.6. L’MVP delle scorse Finals non ha ancora finito di stupire.

Se questo non vi fosse bastato mettete, in un quintetto ipotetico insieme a questi due, Steph Curry, su cui ci dilungheremo a breve, Klay Thompson ed Harrison Barnes. Resa l’ipotesi reale godetevi le statistiche prodotte da tale formazione, nei 62 minuti giocati complessivamente fino ad ora: 157.8 punti segnati ogni 100 possessi, 86.7 subiti. Il net rating di +71.1 che ne deriva non è uno scherzo e non è una casualità figlia di un momento, perché si tratta di oltre un’ora di gioco. Il quintetto piccolo di questi Warriors è letteralmente ingiocabile, tanto offensivamente, avendo una percentuale reale al tiro dell’82% costruita su una percentuale di assistenze del 74.6%, quanto difensivamente, raccogliendo il 72.7% dei rimbalzi disponibili e subendo quanto poco è stato detto qui sopra. Se proprio vogliamo mettere il dito nella piaga possiamo sottolineare appena il fatto che Thompson sia l’unico giocatore sottotono rispetto alla passata regular season, benché segni 16.2 punti a partita. Se, però, si guarda che Golden State, oltre ai già citati, ha anche una panchina profonda e di estrema qualità, si capisce il perché il suo meccanismo sia ai limiti della perfezione.

Una simile squadra non può esistere, però, senza un leader. I Warriors non soltanto ne hanno uno di qualità assoluta, ma possiedono colui che, al momento, è il più forte giocatore di basket su questo pianeta. Curry sta semplicemente portando ogni aspetto del suo gioco ad un livello superiore. Partiamo da quelli che possono essere i suoi punti di debolezza. Non è mai stato tra i migliori passatori nella Lega e tuttora è una point guard abbastanza atipica da questo punto di vista. Il nativo di Akron, però, conosce e controlla il sistema di gioco di Golden State alla perfezione, trova costantemente extra pass per trasformare un buon tiro in uno a colpo sicuro ed ha una capacità di muovere palla più velocemente di quanto una difesa possa leggere. E produce, comunque, 5.9 assist a partita. Quella che era la pecca più grande ad inizio carriera per Curry era la difesa, risultando incapace di posizionarsi a dovere negli schemi difensivi e di contenere le guardie avversarie. Oggi il prodotto di Davidson produce 2.6 palle rubate a partita, un dato che di per sé non ne farebbe un grande difensore, ma che nel suo caso produce possessi e punti extra in quantità per la squadra.

Curry si è scoperto anche un ottimo rimbalzista per il proprio ruolo, una caratteristica fondamentale per le point guard dell’era moderna. Raccogliere un pallone sotto canestro per poter iniziare la seguente azione direttamente è fondamentale in una squadra che fa della velocità una delle sue armi di maggior forza. Ha fiuto e si posiziona perfettamente dove il tiro sbagliato andrà a finire, come dimostrano i 5.1 rimbalzi raccolti a partita, spesso contro avversari molto più possenti di lui. E il meglio ancora deve essere detto, perché stiamo parlando del miglior tiratore al momento in NBA. Non soltanto 32.1 punti a partita, ma il fatto che arrivino con il 51% dal campo, con un incredibile 43% da oltre l’arco ed un quasi perfetto 94% dalla lunetta. Il dato è incredibile soprattutto perché Curry finora ha segnato 66 delle 152 triple tentate ed è in ritmo per andare oltre le 400 stagionali, un dato assurdo e ben superiore al record che già detiene, che conferma come sia in grado di crearsi magistralmente lo spazio di tiro e spesso nemmeno gli serva farlo. Simili prestazioni non possono che renderlo favorito per confermarsi al titolo di MVP della regular season e spingere i Warriors in vetta alle aspettative per il secondo titolo consecutivo. Oltre che per cercare di diventare la miglior squadra di sempre vista nella storia di questo sport.

Immagini fornite da Panini SpA