Disastro Brooklyn Nets, Hollins al capolinea: si pensa già al futuro

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In gergo cestistico Re-building viene descritto come un progetto di ricostruzione del roster attuato attraverso la cessione di veterani abbondantemente remunerati, sostituiti da giovani in rampa di lancio e giocatori esperti a basso impatto salariale, per praticare una politica di salary cap ad ampio respiro e al tempo stesso una crescita progressiva dei risultati sul campo.

A Brooklyn si parla di re-building già da un paio di stagioni, ma lo smembramento del roster unito alle ridotte possibilità di inserire giovani interessanti (senza scelte al draft fino al 2019!) ha provocato un declino costante e progressivo di risultati, culminato nel pessimo record di 11 vittorie e 33 sconfitte guadagnato nella stagione attuale. Mikhail Prokhorov, magnate russo proprietario della compagine newyorkese, ha individuato come principali capri espiatori il coach Lionel Hollins, licenziato pochi giorni fa, e il GM Billy King, riassegnato ad altri incarichi dirigenziali: senza grossi capi d’amputazione all’allenatore, è stato fondamentalmente il general manager, con le sue scelte inefficaci, l’artefice del disastro attuale. Tuttavia, adesso, i Brooklyn Nets si trovano senza un vero dirigente alle proprie spalle e con un traghettatore, Tony Brown, che rappresenta un segno di continuità con il mediocre passato, essendo stato fino a pochi giorni fa l’assistant coach dello stesso Hollins.
Persiste, dunque, una situazione di totale confusione che lascia presagire una prematura rassegnazione a diventare il nuovo fanalino di coda della Eastern Conference.

PESSIMO SISTEMA DI GIOCO

Le statistiche sentenziano che i Nets hanno il secondo peggior attacco della Lega, immediatamente alle spalle dei redivivi 76ers. Procedere controcorrente verso quelle che sono le tendenze tattiche in voga nella lega e puntare tutte le fiches su un sistema old style imperniato sull’asse di lunghi Brook Lopez e Thaddeus Young, cedendo senza troppe rimostranze Deron Williams, unico costruttore di gioco presente a roster, dimostra a pieno il regime di autentica impreparazione nel quale ha operato fino a questo momento la dirigenza. Ritrovatosi con una sola vera point guard di riferimento, Lionel Hollins è stato costretto a demandare le chiavi del gioco nelle mani di Jarrett Jack, discreto realizzatore ma non eccelso assist-man, il quale aveva pure disputato una prima parte di stagione convincente (13 punti e 7 assist) prima di rompersi il ginocchio ed essere dichiarato out of the season. Attualmente, l’arduo compito di imbeccare degnamente le Twin Towers dei Nets tocca a Shane Larkin, scaricato dai cugini bluarancio in estate e ritrovatosi improvvisamente a calcare il parquet per 25 minuti circa a gara; oltretutto, l’assenza di Jack costringe il veterano Joe Johnson a dei ritmi forsennati (34 minuti di media) che ne limitano pesantemente la sterile lucidità concessa dai suoi 35 anni suonati.
La sfortuna ha messo k.o. anche il promettente rookie Rondae Hollis-Jefferson, ancora grezzo dal punto di vista realizzativo, ma unica shooting guard con le competenze difensive ricercate nel sistema di gioco utilizzato; flebili, invece, sono gli apporti di Bojan Bogdanovic e Wayne Ellington, sostituti naturali della 23° scelta al draft 2015.
Stessa sorte ha colpito l’altro rookie Chris McCullogh, assente dai campi di gioco già dalla scorsa stagione a Syracuse, su cui però lo stesso proprietario ha speso parole d’elogio; difficile vederlo in campo fra qualche mese, la 29 scelta al draft potrebbe rappresentare l’asso nella manica della prossima stagione. Capitolo a parte per l’azzurro Andrea Bargnani, alle prese con i cronici problemi muscolari e utilizzato col contagocce dal vecchio coach (13 minuti). A 30 anni suonati, con una popolarità mediatica ai minimi storici, la stagione attuale potrebbe rappresentare il triste epilogo della carriera NBA del Mago, per il quale nel futuro prossimo si parla già di un ritorno in Italia.

OCCHIO AL FUTURO

Senza particolari pretese nel presente, Prokhorov sta già vagliando la nuova guida tecnica e manageriale della sua franchigia per la prossima stagione. A scanso di equivoci, per la panchina si sta profilando una sfida a due fra l’ex coach dei Chicago Bulls, Tom Thibodeau, e Mark Jackson, mentore di Steph Curry a Golden State prima dell’avvento di Kerr. Bryan Colangelo è, invece, il nome forte per la carica di general manager; il due volte vincitore del titolo Executive of the year sarebbe il preferito del magnate russo, il quale non disdegnerebbe tuttavia affidare l’incarico ad un suo uomo di fiducia come Sergey Kushchenko.
Senza possibilità di scelta al draft, la dirigenza sarà costretta a cedere contratti pesanti (Joe Johnson su tutti) per poter intervenire sui free agent più ambiti, che rispondono ai nomi di DeMar DeRozan e Mike Conley.

Tuttavia, Prokhorov si è dichiarato fiducioso per l’avvenire ed è convinto che, con l’innesto di due-tre pedine adatte, la franchigia tornerebbe a competere per le posizioni più ambite.