I protagonisti della settimana NBA: i Celtics rivedono la luce, i Rockets brancolano nel buio

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Chi l’avrebbe mai detto che i Celtics si sarebbero rialzati così in fretta. Il terzo posto in Eastern Conference, con un record di 32 vittorie e 23 sconfitte, è un risultato al momento eccezionale. Ed il meglio sembra dover ancora arrivare, considerando che al prossimo Draft Boston avrà la scelta dei Nets nelle primissime, un’altra al primo giro dai Mavericks e ben cinque al secondo.

Isaiah Thomas,   Boston Celtics - Immagini fornite da Panini SPA
Isaiah Thomas, Boston Celtics – Immagini fornite da Panini SPA
E non dite più che in città manca una stella, perché Isaiah Thomas ora lo è a tutti gli effetti, compresa partecipazione alla partita di domenica nell’All-Star Game di Toronto. Se non bastassero 21.5 punti e 6.6 assist a partita, aggiungiamo che i C’s segnano 105.8 punti ogni 100 possessi con lui sul parquet ed il dato crolla ad appena 98.7 quando siede in panchina. Il nativo di Tacoma è il catalizzatore del gioco offensivo biancoverde. Nessun altro si muove meglio di lui nei pressi del canestro o fa meglio in penetrazione, tanto da essere il quinto miglior giocatore nella Lega per efficienza in queste circostanze. Non è un caso che il miglior quintetto schierato da Boston quest’anno, in rapporto tra minuti giocati e net rating ottenuto, lo abbia come faro, insieme a Avery Bradley, Jae Crowder, Kelly Olynyk e Jared Sullinger. Questi cinque giocatori, in apparenza nella media NBA, stampano insieme un +22.5 di net rating nei 93 minuti passati in contemporanea sul parquet.

Se Bradley viaggia con discrete medie realizzative oltre i 15 punti a partita, Crowder è la grande sorpresa della stagione. Ha spento le critiche e sta dimostrando di valere l’investimento di 35 milioni per i prossimi 5 anni ben più di ciò che ci si aspettava. E’ un’ala versatile, che può giocare in più posizioni. Lavora benissimo da seconda arma offensiva, non essendo un go-to-guy, ed è estremamente utile sui due lati del campo, tanto che la squadra subisce appena 100.4 punti ogni 100 possessi con lui in campo. Che i Celtics siano prima di tutto una squadra è dimostrato poi dal fatto che Olynyk, Sullinger, Marcus Smart ed Evan Turner sono tutti a cavallo dei dieci punti segnati di media. E gli attestati di stima non tardano ad arrivare, soprattutto per coach Brad Stevens, in un periodo in cui Boston ha vinto 8 delle ultime 10 gare giocate. Doc Rivers ha detto, prima di venire sconfitto in overtime con i suoi Clippers: “Giocano un basket vincente, hanno un roster profondo e sono in un’ottima posizione. Stevens è uno dei migliori allenatori nella Lega, mi piace tutto di lui. E’ un ragazzo eccezionale“. Detto dall’ultimo allenatore in grado di vincere un titolo in città, il valore è doppio.

Di certo, invece, i Rockets non si aspettavano di essere ridotti tanto male alla pausa per l’All-Star break. Il record è scivolato nella notte nella percentuale negativa (27-28) e al momento la squadra sarebbe fuori dai playoff, in una Western Conference che negli anni passati sarebbe stata giudice molto più severa. Tra i tanti problemi che sta vivendo Houston, è doveroso cominciare dal più serio, ovvero la difesa. I texani subiscono 106.8 punti a partita e la bellezza di 106.4 ogni 100 possessi, arrivando ad essere la 29esima difesa complessiva al momento in NBA. La stella della squadra, James Harden, è il principale responsabile delle carenze difensive dei suoi. I suoi 28 punti di media, pur col 42% dal campo ed il 35% da oltre l’arco, cui aggiunge però anche 6.3 rimbalzi e 7 assist, dimostrano quanto sia efficace come arma offensiva, tra le più letali nella Lega. Se, però, i punti subiti ogni 100 possessi con lui sul parquet sono 107.5, un dato esorbitante che rende addirittura il suo net rating negativo di due punti secchi, qualcosa non sta funzionando nemmeno per lui. Dwight Howard, nonostante i 12 rimbalzi e la stoppata e mezzo di media sembra soltanto un lontano parente del tre volte Defensive Player of the Year tra il 2009 ed il 2011. “Al momento stiamo semplicemente giocando male“, ha dichiarato. E non è stato l’unico ad accorgersi.

Dwight Howard,   Houston Rockets - Immagini fornite da Panini SPA
Dwight Howard, Houston Rockets – Immagini fornite da Panini SPA
Il problema serio per Houston è che la situazione difficilmente cambierà in breve tempo, visto che la società, per acquisire in estate le pedine che pensava utili per il definitivo salto di qualità, è salita oltre la luxury tax, quindi il roster resterà quello che è a meno di eclatanti sorprese. Ty Lawson, che di quelle pedine era il pezzo grosso, sta giocando per distacco il peggior basket della propria carriera, spingendosi a medie irrisorie (6.3 punti e 3.6 assist), non riuscendo mai ad essere decisivo per la squadra. Se poi Trevor Ariza impiega in media 10.5 tiri per mettere insieme appena 12.5 punti e nessun altro si spinge oltre la doppia cifra in termini di punti segnati a partita, certo i Rockets non si possono definire una squadra. L’unica piccola speranza cresciuta quest’anno è Clint Capela. Se aggiungiamo lui ad un quintetto con Patrick Beverley, Ariza, Harden ed Howard, in 197 minuti d’impiego otteniamo una squadra vincente, 7.2 punti in positivo in termini di net rating (107.7/100.5), con una difesa solida ed efficiente. Se lo togliamo per far posto a Corey Brewer, beh, si scende a -16 in 119 minuti complessivi. E’ un po’ lo specchio della stagione dei texani: un viaggio tra il sogno di ripetersi e l’abisso di non raggiungere nemmeno i playoff.