I protagonisti della settimana NBA: Pistons vicini alla rinascita, Rockets lontani dalla riconferma

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Andre Drummond - © 2016 twitter/DetroitPistons
Andre Drummond – © 2016 twitter/DetroitPistons

Comunque vada, che arrivino o meno i playoff, al momento da combattersi in uno scontro all’ultimo match con Bulls e Wizards, che arrivi o meno un record positivo molto più semplice da ottenere, considerando le 38 vittorie già scritte, i Pistons quest’anno hanno fatto un balzo in avanti verso un futuro dalle più rosee aspettative. Detroit ritorna in auge nella regular season in cui, quel numero 38, non basta a guadagnarsi la post-season, come successo negli ultimi cinque anni ad Est. Cinque anni, anzi sei, in cui la squadra di Motown non ha mai superato quota 32 successi ed il decimo posto di Conference. Poco importa, quindi, se questa stagione dovesse anche malauguratamente fermarsi in anticipo: “Non è dove siamo ora. E’ dove saremo tra due anni, è avere un roster stabile in mano a giocatori di talento. E’ stato un anno di grande sviluppo, a prescindere dal record“, ha detto coach Stan Van Gundy, vero e proprio artefice della rinascita Pistons. Van Gundy ha costruito una squadra intorno al suo cuore pulsante, costituito da un Andre Drummond letteralmente esploso quest’anno (16.7 punti e 14.9 rimbalzi a partita), dominatore sotto le plance del Michigan e di mezza NBA, e da un Reggie Jackson ormai leader del gioco offensivo di Detroit (18.7 punti e 6.3 assist di media).

Kentavious Caldwell-Pope ha trovato la sua dimensione, con quasi 15 punti a partita da accompagnare ad una solidità difensiva in costante crescita. Marcus Morris, il meno celebrato dei gemelli, non soltanto sta avendo ragione del Wizard Markieff in termini di record, ma è ormai una pedina insostituibile nel meccanismo di squadra, visto che gioca quasi 36 minuti a partita. Il rookie Stanley Johnson inizia a far sentire un impatto che è destinato a crescere negli anni e si attesta a 8.6 punti e 4.2 rimbalzi nei 23 minuti a lui concessi in media, ma soprattutto va sottolineato il perfetto inserimento dai Magic di Tobias Harris (16.7 punti, 5.8 rimbalzi e 2.6 assist), uno dei colpi in sordina più importanti della scorsa free agency. All’arrivo di Van Gundy, 14 mesi fa, a roster figuravano soltanto Drummond e Caldwell-Pope, non a caso i due giocatori più migliorati, l’uno arrivato alla chiamata da All-Star e l’altro decisivo su entrambi i lati del campo. La giovane età delle sue componenti permette al coach di pensare in grande: “Abbiamo un gruppo di ragazzi che sa giocare. Ora sappiamo come completarlo. Ci servirà più talento ed altri buoni giocatori, ma ora sappiamo come agire“. Playoff o meno, più prima che poi arriverà tempo di gloria anche per i Pistons.

Nonostante come sia andata la nostra stagione finora, nonostante non abbiamo giocato al livello prospettato, penso realmente che siamo una squadra da titolo quest’anno“. L’affermazione apparirebbe di difficilmente dimostrabile per qualsiasi squadra non abbia un Prescelto in squadra o sia una delle due che stanno rendendo l’Ovest un far west da record per i prossimi decenni. Se poi ad affermare ciò è Dwight Howard, componente in visibile e costante declino di una Houston in crisi così evidente da rischiare di non qualificarsi nemmeno per i playoff, il tutto assume un tono tra il comico ed il grottesco. I Rockets, in settimana, hanno perso tutte e tre le partite giocate, il che li porta a cinque KO nelle ultime sette da venti giorni a questa parte. Periodo in cui il già citato Howard è andato oltre i dieci punti appena due volte. Soprattutto, però, sono usciti sconfitti contro i Jazz, diretti avversari per l’ottavo posto utile per la post-season ad Ovest. Lo sconforto è racchiuso nelle parole di Jason Terry: “Non puoi sprecare 18 punti di vantaggio in un match che può decidere la tua stagione. Ma noi l’abbiamo fatto“. A poco è servito il siparietto della mascotte per cercare di distrarre i tiratori di liberi avversari.

I Rockets le stanno provando tutte per invertire una rotta che quest’anno sembra stregata. Dopo il fallimento di ogni speranza legata a Ty Lawson, dopo che l’arrivo di Josh Smith ha portato ad un ulteriore peggioramento, Houston ha richiamato Michael Beasley dalla Cina e di per sé il suo rendimento sarebbe anche accettabile (13.8 punti e 4.8 rimbalzi), sebbene insufficiente da solo ad un miglioramento visibile per la squadra e, come al solito per il nativo di Frederick, perennemente incostante. I numeri del sopra citato Drummond non possono che richiamare alla mente gli albori della carriera di Howard ai Magic, di cui resta ormai soltanto un Superman senza mantello. Anche James Harden, nonostante sia in grado di mettere insieme numeri spaventosi a vedersi (28.5 punti, 6.3 rimbalzi e 7.4 assist), se l’anno passato si giocava il titolo di MVP perso all’ultimo assalto contro Step Curry, in questa stagione viaggia con un net rating addirittura negativo, colpa di 106.4 punti subiti ogni 100 possessi con lui sul parquet. A dieci partite dalla fine, Blazers, Mavericks, Rockets e Jazz si giocano tre posti per i playoff. Anche dovessero arrivare, però, Warriors, Spurs e Thunder aspettano appollaiati come avvoltoi. Squadre da titolo, loro.