Zeno Pisani in esclusiva a Basketcaffe: “Vi racconto il mio Kobe Bryant”

0
2076
Kobe Bryant e Zeno Pisani - © 2016 twitter/ZenoPisani
Kobe Bryant e Zeno Pisani – © 2016 twitter/ZenoPisani

Con il ritiro di Kobe Bryant si chiude un’epoca di basket NBA, quella che ha appassionato tantissimi ragazzi sul finire degli anni 90 nell’immediato post Jordan e fino alla fine del primo decennio del 2000, segnato dai successi dei Lakers, dall’ascesa di LeBron James e del sistema dei San Antonio Spurs. Il personaggio Bryant ha attirato tanti di noi fan italiani perchè, come tutti sanno, l’asso dei Lakers è cresciuto nel nostro paese, parla benissimo l’italiano ed è rimasto legato alla penisola. E questo personaggio non potrebbe raccontarcelo nessuno meglio di Zeno Pisani, architetto, manager e collaboratore per Gazzetta dello Sport e Rivista Ufficiale NBA, che vive a LA proprio dal 1996, l’anno in cui iniziò la carriera del futuro Black Mamba.

A cosa associ il nome Kobe Bryant?

Dico scherzosamente che Kobe è la mia Los Angeles. Sono arrivato qui nel luglio 1996 per andare a UCLA, 2 giorni prima che i Lakers presentassero Bryant. L’ho visto dal primo all’ultimo minuto. 20 anni sono passati e sono passati velocemente. Ti fa sentire vecchio quando si ritirano questi grandi campioni a cui sei legato emotivamente e che ti hanno accompagnato per un periodo della tua vita. Curioso come i suoi primi e ultimi punti siano stati segnati su tiro libero, e al tiro libero è legato il momento più basso della sua carriera con l’infortunio al tendine“.

Come è stato il tuo rapporto con Bryant?

La prima volta che ci siamo parlati Kobe, a 19 anni, mi disse ‘con te mi terrò allenato con l’italiano’ e questa promessa l’ha mantenuta in tutti questi anni. Con me viene tanto a parlare di calcio (sport praticato dalla figlia più grande), sono l’unico italiano che segue i Lakers e uno dei pochi europei. Lo scorso anno, alla fine di un allenamento, mi sorprende alle spalle e mi dice ‘come vedi la Juventus in finale di Champions League col Barcellona?’ perchè lui è un tifoso del Barcellona, oltre che del Milan. Con Kobe ho un rapporto piacevole, a volte dopo le partite ci fermiamo un minuto a parlare, mi chiede come va, come ho visto la partita, lui è una persona elegante e sempre sorridente“.

A quali ricordi di Kobe sei più affezionato?

Legati al campo ho ricordi belli e ricordi brutti. Ricordi belli sono gara 7 del 2010 contro i Celtics per il suo e (“anche il mio!!!” ride ndr) quinto titolo al termine di una serie dura e intensa, la partita degli 81 punti, quella dei 62 in tre quarti con Dallas. Il Bryant più dominante, a mio avviso, è stato quello del 2005-06 col titolo di capocannoniere a 35 punti di media e una serie di partire singole memorabili. Fine a se stesse, egoistiche quanto vuoi, ma uniche. Ricordi brutti sono la rottura del tendine d’Achille dove avevi la netta sensazione che da quel momento la sua carriera sarebbe girata. E anche lui, che è un atleta super, effettivamente da quel infortunio è tornato un Bryant diverso, con meno esplosività nell’uno contro uno che negli ultimi anniha basato molto se non solo sul gioco spalle a canestro. Il momento più basso scelgo la finale del 2004 persa con Detroit, con i litigi all’interno dei Lakers con Malone e Shaquille O’Neal, poi ceduto, e con lo stesso Kobe vicino sia ai Clippers, sia ai Bulls. E ovviamente il fattaccio del Colorado, episodio del quale era vietato parlare e fare domande. Bryant arrivava dopo un viaggio di 3 ore e una seduta in tribunale e faceva 30 punti come se niente fosse, dimostrando una gestione del sistema nervoso e emotivo con pochi eguali“.

Sembra che quel fattaccio sia un po’ finito nel dimenticatoio…

C’è stato un grande lavoro di pubbliche relazioni all’interno dei Lakers. Dopo la famosa conferenza stampa di Kobe con di lato a Vanessa che indossa il famoso anello da 4 milioni di dollari, c’era il divieto assoluto di fare domande inerenti a quell’episodio nei momenti di pallacanestro. I Lakers sono stati bravi a tenere tutto nella sfera sportiva, a maggior ragione in un ambiente come Los Angeles dove esce tutto. E poi è stato bravo lui, insieme ai suoi avvocati, a far passare soto traccia la cosa e lasciarla scivolare via ricostruendosi l’immagine. Eravamo in era pre-social e questo ha aiutato“.

Se dovessi scegliere una sua partita in assoluto, quale prendi?

Tolte gara 7 con Boston nel 2010, la gara degli 81 punti e quella dei 62 in tre quarti con Dallas, emotivamente sono molto legato alla serie del 2002 tra Lakers e Kings perchè era intensa, perchè Sacramento cresceva ed era pronta per il titolo. Ma se devo scegliere una partita, faccio fatica a non dire l’ultima allo Staples Center contro i Jazz. Nelle ultime due settimane barcollava, giocava bene il primo quarto perchè era caldo dopo massaggi e trattamenti, poi andava scemando. Quella sera non c’erano dubbi che avrebbe giocato 40 minuti, ma sulla forza di fare 60 punti, di prendere 50 tiri a 37 anni, uno sforzo fisico irreale, una cosa impensabile. Vedergli fare quella scarica finale è stato incredibile, la tempesta perfetta. Quelli sono momenti unici, allo Staples Center c’è un’atmosfera che trasporta emotivamente il pubblico. Un dato esalta questo sforzo atletico: l’ultimo a segnare 60 punti oltre i 32 anni? Wilt Chamberlain a 32 anni e 172 giorni, Kobe l’ha fatto a 37 e 234 giorni… Infinito“.

Che eredità lascia alla NBA?

Kobe e la sua generazione, quella dei Vince Carter, dei Nowitzki, dei Garnett, degli Iverson, Jason Kidd, Steve Nash, Paul Pierce, e la lista prosegue quanto vuoi, hanno ricevuto da Michael Jordan un grande insegnamento, quello del rispetto per il gioco, sempre, che ogni gara va onorata, bisogna dare il meglio per il pubblico. Oggi, anche per come è strutturato il salary, è difficile trovare il legame con la stessa squadra come è stato per Kobe, e soprattutto questa generazione non sembra avere la stessa cattiveria agonistica. Ho chiesto a Bryant, un paio di anni fa, quale giocatore di oggi sarebbe stato al suo livello anche 20 anni più indietro e lui mi ha risposto Westbrook perchè Russ entra in campo con quella fame e quella voglia di azzannare la partita che non si può non notare. Vederlo giocare dal vivo è entusiasmante. Il messaggio che lascia Kobe è questo: l’amore per il gioco, la passione, sacrificare se stesso per gli obiettivi, prima individuali e poi di squadra“.

E che Lakers lascia per il 2016-17?

Ai Lakers lascia un vuoto tremendo a livello di leadership ma sopratutto mette a nudo le reali difficoltà della franchigia perchè negli ultimi anni Bryant era diventato quasi un ombrello protettivo. I Lakers hanno stabilito nelle ultime due stagioni il peggior record di franchigia affossati da decisioni totalmente sbagliate in sede di mercato. Una cosa inaccettabile. E Kobe è sempre servito per mascherare tutto, compresa una certa impreparazione a livello dirigenziale e gestionale, come sullo scouting e l’uso delle statistiche avanzate. Quest’anno si è sacrificato tutto per il farewell tour di Bryant ma ora serve un deciso cambio di rotta anche perchè non ci sono più i 24 milioni di dollari del contratto di Bryant. Serve un grosso colpo, un grande nome perchè il mercato di Los Angeles e dei Lakers lo esige, non si può attendere la crescita dei giovani: la sensazione è che D’Angelo Russell verrà atteso mentre Clarkson e Randle, sono due ottimi assets, magari insieme alla scelta di quest’anno, per poter arrivare subito o la prossima stagione ad un grande nome. Il sogno resta Russell Westbrook, ma Cousins e Butler tanto per buttare due nomi caldi oggi, piacciono, ma è comunque difficile fare previsioni oggi. Luglio è ancora lontano“. La prima mossa logica da fare, ovvero via Scott, è stata fatta intanto.

Cosa si sa invece del Kobe Bryant fuori dal campo?

Kobe abita a Newport Beach, a un’ora e mezza di traffico dal cuore della città, Beverly Hills e Santa Monica, e dal centro di allenamento di El Segundo. Lui vive staccato, ha sempre fatto vita molto protetta, non come Shaq spesso avvvistato nei locali. Non usciva, è sempre stato molto riservato perchè il suo unico obiettivo era la pallacanestro. Bryant, a parte la sciocchezza del Colorado, non ha mai fatto parlare di sè fuori dal campo, è sempre stato molto riservato e ha sempre vissuto nel suo mondo, con pochi legami. Ha due ville sulle colline sopra Newport Beach e sta lì, lontano da tutti. I primi anni abitava a Pacific Palisades, vicino a Santa Monica, e si vedeva in giro, andava a giocare anche a Venice Beach, si vedeva a cena, ma poi basta“.

Come sono stati i suoi rapporti all’interno della pallacanestro?

Come mi ha detto Gary Vitti nell’intervista esclusiva per Rivista ufficiale NBA, a Kobe non interessa instaurare un rapporto con i compagni di squadra o di costruire un’amicizia. L’unica cosa che per lui conta è se lo puoi aiutare a vincere o no. Questo dice tutto del rapporto che ha con gli altri. Pau Gasol è un caso particolare perchè Kobe ha trovato in lui un suo simile, uno che ha lo stesso livello di intelligenza cestistica. Lo ha fatto con i veterani come Brian Shaw e Rick Fox, con Robert Horry e Derek Fisher, Sasha Vujacic era il suo figlioccio, con Shaq O’Neal c’era un rapporto di odio/amore. Sei, sette giocatori in 20 anni di carriera“.

 

E ora? Si ritira davvero?

Bryant è arrivato distrutto alla fine della stagione, ha stretto i denti per due mesi con la spalla fuori uso per portare a termine il farewell tour. Esclude un suo ritorno, non ci saranno sorprese perchè fisicamente non ne ha proprio più. Mentalmente pensa ancora di poter battere chiunque, e qui vedi la mentalità dei grandi campioni, come Jordan nel discorso di introduzione alla Hall of Fame, ma il corpo ha detto basta. Su questa cosa è molto sereno, perchè sa di avere dato tuto quello che aveva“.

Cosa ci sarà nel futuro di Kobe Bryant?

Difficile capire cosa farà ora, secondo me farà qualcosa in televisione, poi lavorerà per la sua azienda, sarà più impegnato per Nike. Poi, se nel 2017 ci fosse la possibilità che ai Lakers torni Phil Jackson (quindi senza Jim Buss e forse Kupchak), un ruolo per Kobe potrebbe starci, non allenatore ma in qualche modo potrebbe rientrare nella franchigia. Sul coinvolgimento italiano posso dire che a lui piacerebbe soprattutto tornare dove ha iniziato, per ridare indietro qualcosa di quello che ha imparato. In lui c’è voglia di insegnare pallacanestro, di lavorare coi ragazzi, in Italia o magari in Cina, dove sicuramente farà qualcosa prima di tornare attivamente nel basket Nba dove io lo vedo in futuro“.