Letale e spietato: Kyrie Irving, il professional scorer dei Cavs

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La sensazionale tripla con cui a 50 secondi dal termine di gara 7 Kyrie Irving ha spazzato via le velleità dei Golden State Warriors, è l’highlights che più di tutti rappresenterà il primo titolo NBA dei Cleveland Cavaliers, con il dovuto rispetto alla stoppata di Lebron James su Iguodala. I 27 punti e passa di media che il playmaker dei Cavs ha tenuto nella serie di Finals appena concluse sono il ritratto della sua crescita esponenziale, del suo immenso valore, della sua vitale importanza, oseremmo dire alla pari di quella del Prescelto, per la vittoria del titolo NBA. Ciò che Kyrie ha mostrato non più di 10 giorni fa, altro non è che la consacrazione definitiva di un ragazzo, appena 20enne, che fin da piccolo ha mostrato di avere le stigmate del fuoriclasse. Il suo percorso di vita, però, è stato lungo, tortuoso e pieno d’insidie.

LE SUE ORIGINI

Persa la madre a soli 4 anni, ha potuto contare fermamente sulla figura paterna, che ancora oggi il giovane play dei Cavs riconosce come la persona più importante. Da giocatore di basket del campionato australiano (Paese nel quale Irving è nato e cresciuto) papà Drederick lo ha fin da piccolo avvicinato al mondo della palla a spicchi, ambito nel quale Kyrie si è forgiato fisicamente e mentalmente, e del quale si è innamorato fin da subito. Il suo obiettivo principale, il suo sogno nel cassetto, la sua ambizione è stata sempre quella di poter calcare, un giorno, i parquet della NBA, campionato che adorava e da cui cercava di assorbire gesta e mentalità.
Scartato in un primo momento dalla prestigiosa St.Patrick High School, il primo vero approccio di Irving con il basket si verificò alla Montcler Kimberly Academy, presso la quale cominciò a dispensare gesta tecniche di alto livello e venne notato dagli osservatori della stessa St. Patrick High School che qualche mese prima lo avevano evidentemente ed erroneamente sottovalutato. Nella scuola dell’Illinois, il giovane Kyrie inanellò successi e prestazioni che fin dai primi momenti attirarono su di sé le attenzioni dei più prestigiosi e vincenti college statunitensi; tra questi quella Duke allenata dal leggendario Mike Krzyzewsky, ai più conosciuto come Coach K, già guida della Nazionale statunitense e mentore di giovani promesse divenute negli anni vere e proprie star NBA. Iniziata secondo le alte aspettative della vigilia, l’esperienza ai Blue Devils purtroppo non proseguì positivamente: dopo i primi 8 match, saltarono i legamenti del ginocchio e Kyrie fu costretto a vedere il resto della stagione da un seggiolino del Cameron Indoor Stadium. L’ambizione di migliorarsi, di caricarsi la squadra sulle spalle, di essere leader, però, fu superiore alla sfortuna e The Uncle Drew riuscì a recuperare appena in tempo per disputare il Torneo NCAA, nel quale, nonostante il ricordo dell’infortunio ancora fresco, trascinò il suo team fino alle Sweet Sixteen e costretto ad arrendersi ad Arizona State. L’infortunio e gli insuccessi di Duke non furono sufficienti ad ostacolare la sua scalata verso l’Olimpo. Di gran lunga ed evidentemente un giocatore fuori dalla norma, una spanna sopra tutti, il College Basketball cominciò ben presto a stargli stretto; consigliato dalle persone più fidate, fra cui figurava anche Coach K, decise di dichiararsi eleggibile al Draft NBA del 2012: il suo sogno stava per realizzarsi!

LO SBARCO IN NBA

Simile ad un segno del destino, i Cleveland Cavaliers, abbandonati pochi mesi prima dal loro Re, nonché giocatore più forte della Lega, al secolo LeBron James, avevano pescato la prima scelta assoluta e riservavano alla Draft Lottery la speranza di trovare un nuovo leader in grado di risollevare le sorti di una franchigia caduta in basso. La loro prima scelta fu indirizzata proprio su Kyrie Irving, che appena 19enne si assunse la pesante eredità lasciata dal Prescelto. Irving giocava bene, conquistava riconoscimenti individuali ambiti come il Rookie of the Year e l’MVP dell’All Star Game, ma la sua squadra era povera di talento, incassava sconfitte su sconfitte (70% circa in 3 stagioni): il progetto tardava a decollare, gli avvicendamenti in panchina di Byron Scott prima, e Mike Brown poi, avevano solo peggiorato la situazione; la luna di miele fra Irving e la gente di Cleveland si era ormai conclusa.
Durante l’estate del 2014, però, avviene la svolta decisiva: prima l’arrivo di David Blatt, coach vincente e di prospettiva; poi la trade dalla quale i Cavs acquisiscono Kevin Love; infine, soprattutto, la firma di Lebron James, desideroso di tornare nella sua città e di vincere quell’anello per il quale era stato definito dalla sua gente come il Prescelto. Messo in discussione come uno qualunque, Kyrie Irving sceglie la strada più difficile: restare in quella che adesso era la sua franchigia per provare a vincere il Larry O’Brien con un roster ben più competitivo del passato. 6 mesi più tardi però, nel momento decisivo, il ginocchio fa di nuovo crack e The Uncle Drew è costretto ad abbandonare anzitempo la nave che affondava sotto i colpi dei Warriors. Sfumata all’ultimo checkpoint la vittoria del titolo NBA, la stagione 2015/2016 riparte con lo stesso imperativo dell’anno precedente. 82 partite e 3 turni di playoff dopo, Irving e compagni, costretti ad incrociare nuovamente le spade con Steph Curry e gli uomini della Baia, chiudono la serie dopo 7 memorabili match, riscrivendo la sfortunata storia della Cleveland sportiva.

LA PROSSIMA AVVENTURA

Dopo i festeggiamenti giustificati ma prima di pensare alla prossima stagione, Kyrie ha un altro importantissimo impegno: le Olimpiadi di Rio 2016. Scelto tra i magnifici 12 di USA Basketball dovrà dimostrarsi leader anche della sua Nazionale e viste le tantissime defezioni sarà il playmaker titolare davanti a Lowry. Un altro importante banco di prova per far capire a tutti che gli anni bui in cui lui segnava tanto ma la sua squadra non vinceva sono veramente lontani.