Il silente ritiro del guerriero: Tim Duncan saluta gli Spurs e la NBA dopo 19 anni

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Tim Duncan - © 2016 twitter.com/spurs
Tim Duncan – © 2016 twitter.com/spurs
Il ritiro di Tim Duncan, in linea con il suo personaggio, arriva nel silenzio di un pomeriggio di mezza estate. Improvviso, commovente, tanto povero di effetti speciali quanto ricco di significato. Non ha avuto bisogno di radunare grandi folle di tifosi ai lati di un parquet, non ha avuto bisogno di una conferenza stampa di fronte a centinaia di giornalisti intrepidi. L’ha fatto con un comunicato, senza alcun commento. Per Tim Duncan parla la leggenda che ha costruito in 19 anni di meravigliosa carriera con gli Spurs, che ha aiutato a rendere il fenomeno cestistico più dominante della storia recente in NBA. Per Tim Duncan parlano i ricordi, i titoli, i record, la sua numero 21, presto da Hall of Fame ed in cima all’AT&T Center. Per Tim Duncan, da sempre, parla anche il suo silenzio.

The Big Fundamental ci aveva illuso, esercitando l’opzione del suo contratto per il 2016/17, di volerci regalare un altro anno, con un ritiro ormai reso chiaro a tutti al termine della prossima regular season, per salutare quella Lega di cui ha modificato i connotati e la storia. Ed invece, l’11 luglio 2016 resterà per tutti gli appassionati di basket il giorno in cui il tempo sportivo ha smesso di fare il proprio corso per quello che Shaquille O’Neal ha subito definito come the greatest power forward ever, seguito da un coro di voci al seguito. Il declino del mito è avvenuto in silenzio, sotto traccia, ma è rimasto evidente nella passata stagione a chi ha conosciuto il vero Duncan. E la sfida del 12 maggio scorso persa contro i Thunder, in una serie tremendamente complicata ed alla fine persa tra i rimpianti, resterà l’ultima della carriera. Per chi, comunque, con la sua eleganza, dentro e fuori dal campo, continuerà a vivere in eterno nel cuore di San Antonio e nello spirito di quelli Spurs che ora, soprattutto emotivamente, dovranno imparare a fare a meno della sua presenza. E quel Gregg Popovich che in 19 anni ha guidato ed è stato guidato dal caraibico a tutti e cinque i trofei che compongono la quarta bacheca più ricca nella storia NBA, senz’altro sentirà un vuoto che adesso nessuno di noi può nemmeno immaginare. Anche se, nel pieno stile della coppia più misteriosa e magica del basket recente, tutto quanto è di più profondo resterà nell’intimità dei due.

Duncan lascia il basket conscio di aver scritto decenni di successi senza eguali, campione in tre decadi diverse, come soltanto John Salley prima di lui. Le 1.001 vittorie in regular season, il terzo numero più alto di sempre, sono stampate con la miglior percentuale tra i fortunati tre, un pazzesco 0.719. Aggiungiamo due titoli di MVP della Lega, 26.496 punti (14°), 15.091 rimbalzi (6°) e 3.020 stoppate (5°), solo parlando di stagione regolare. E 157 vittorie nei playoff (2°), con 5.172 punti (5°), 2.859 rimbalzi (3°) e 164 doppie-doppie, da primo incontrastato. Un uomo che viene spesso troppo poco ricordato con ammirazione non soltanto per i successi in una squadra magnifica in ogni pezzo del proprio ingranaggio, ma anche per quanto fatto individualmente, capace di vincere Wooden Award, Rookie of the Year, MVP NBA, MVP delle Finals ed MVP dell’All-Star Game come soltanto Larry Bird e Michael Jordan nella leggenda di questo sport. Certo è difficile dimenticare 19 annate in cui la percentuale di successi dei texani non è mai scesa sotto il 60%, con 155 vittorie in più di ogni altra squadra dal Draft che ha visto Duncan chiamato con la prima scelta assoluta, nel 1997. Il trio composto con Tony Parker e Manu Ginobili, poi, ha riscritto i record, con 527 gioie in regular season e 126 in post-season, oltre a quattro dei cinque titoli NBA, delle cui serie finali, in tre occasioni, The Big Fundamental è stato eletto miglior giocatore.

Tim Duncan - © 2016 twitter.com/spurs
Tim Duncan – © 2016 twitter.com/spurs

Impossibile che i 140 compagni di squadra che lo hanno accompagnato in questa avventura lo abbiano tutti stimato, apprezzato o amato per il personaggio che era e che è Tim Duncan. Una cosa, però, è certa. Averlo visto aspettare, anche soltanto una volta, che tutti quanti, dal primo all’ultimo, uscissero dal parquet per imboccare il tunnel ed averlo guardato negli occhi in quel momento, probabilmente senza dire nulla, è uno dei grandi insegnamenti che ognuno di loro ha tratto dalla carriera di chi, da oggi, non sarà più un protagonista del basket NBA. E vale più di mille parole.

4 COMMENTS

  1. “Ho visto il futuro e indossa la maglia nero-argento numero 21!!!”
    Non sono un fan dei SAS, anzi mi sono sempre andati un po’ di traverso, pur rispettandoli come modello di squadra vincente, ma ho sempre adorato questo fenomeno, tecnica sopraffina, IQ elevatissimo, anche in quest’ultimo anno ha insegnato basket a chi potrebbe essere suo figlio e gli salta in testa. Semplicemente la migliore ala grande di tutti i tempi, non me ne vogliano il postino e gli altri del passato, ma lui ha qualcosa in più.
    Anche se non mi conosce, lo saluto in silenzio.
    Grazie Timmy.

  2. Il giocatore che più di tutti mi ha fatto avvicinare al basket. Il saluto commosso di Pop, all’apparenza un cuore di pietra, la dice lunga sulla personalità di Timmy.

  3. Veramente grazie di cuore Timmy. Poco da aggiungere a quanto già scritto e detto. E anche se a lui potrà interessare meno di zero, vorrei far notare come un difensore del genere (a mio parere n.1 nel suo ruolo – personalmente lo preferisco a KG – sia in 1vs1 che negli aiuti difensivi) non è mai stato votato come DPY. Per quel che conta …

  4. Penso che come importanza questo ritiro dalle scene sia pari a quello di Kobe.
    Le modalità sono state “leggermente” diverse…..però sta di fatto che il prossimo anno avremo due leggende in meno sui campi NBA.

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