Rudy Gay in uscita, Cousins incerto: Dave Jorger basterà per la rinascita di Sacramento?

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Le persistenti delusioni di risultati e di mercato hanno contribuito a ridicolizzare una franchigia storicamente importante come i Sacramento Kings, oramai etichettati alla stregua di una barzelletta. Conclusa la stagione precedente con l’ennesimo ed anonimo 10° posto, l’attuale off-season, piuttosto che segnare un’inversione di rotta, sembra essere stata la prosecuzione del mediocre andazzo a cui il team californiano ci ha abituato da un decennio a questa parte.

IL MERCATO IN USCITA E IN ENTRATA

La buona notizia arriva sul fronte panchina: esonerato George Karl, reo di aver compromesso il già fragile equilibrio dello spogliatoio, è arrivato l’esperto e vincente Dave Jorger, che in 3 anni a Memphis è riuscito a centrare sistematicamente l’accesso ai playoff. Poco spettacolare, pragmatico al punto giusto, il suo è un basket tradizionalista, fisico, volto a riempire l’area e pensato soprattutto per lunghi tecnici e bravi in isolamento, come lo erano Gasol e Randolph ai Grizzlies, e come è lo stesso Cousins ai Kings.
Capitolo coach a parte, però, la restante off-season californiana ha assunto caratteri poco comprensibili e a tratti paradossali. Marco Belinelli e Rajon Rondo, alla prima occasione possibile, hanno fatto le valigie e fuggiti, rispettivamente, destinazione Charlotte e Chicago; Seth Curry, fratello del più famoso Steph, è volato a Dallas per unirsi ai Mavericks; gli stessi Rudy Gay e Demarcus Cousins non hanno mancato, a più riprese, di manifestare la propria insofferenza. L’apice di una situazione tanto anarchica, quanto stravagante, però, è stato raggiunto in occasione del Draft del giugno scorso, nel quale il GM Divac ha ottenuto da Phoenix la scelta numero 13 e 28, una futura scelta al secondo giro più i diritti su Bogdan Bogdanovic, in cambio dell’ottava scelta assoluta. A bocce ferme sarebbe potuta essere una trattativa vantaggiosa, se lo stesso Divac non avesse sprecato le sue pick per selezionare due lunghi, Georgios Papagiannis e Skal Labisserie, che, a dispetto delle loro effettive capacità, finiscono comunque per ingolfare un reparto già comprendente il sophomore Willie Cauley-Stein e Demarcus Cousins; inoltre, dalla cessione di Belinelli, il GM serbo ha potuto chiamare la guardia Malachi Richardson con la 22° pick. Dunque 3 scelte poco comprensibili sia dal punto di vista tecnico (eccezion fatta per Labisserie) che del roster, sulle quali lo stesso Cousins non ha mancato di esprimere, a più riprese, il suo dissenso sia su Twitter che sui giornali. Dopo essere stato accostato per settimane a Lakers e Celtics, anche i Chicaco Bulls sembrano essersi iscritti alla corsa a Boogie, contribuendo a rendere ancora più incerto il futuro suo e del team.
Ancora insufficiente il mercato in entrata, nonostante l’opzione esercitata per il rinnovo dell’esperto Caron Butler, e le acquisizioni di Arron Afflalo dai Knicks (biennale a 25 milioni), Matt Barnes (biennale a 12 milioni), già gregario di Jorger ai tempi di Memphis, il lungo Anthony Tolliver (biennale a 16 milioni) e la discreta guardia Garrett Temple (triennale a 24 milioni). Con l’addio di Rondo il reparto playmaker conta su Darren Collison, 13 punti e 5 assist in una carriera mai del tutto realizzata, sulla cui promozione in quintetto restano dubbi pesanti e giustificati, e su Ty Lawson, appena firmato con un contratto annuale, giocatore reduce da una stagione anonima tra Rockets e Pacers. Per diverse settimane il nome caldo riportato dalla stampa californiana è stato quello dello spagnolo Ricky Rubio, ostacolato a Minnesota dall’arrivo del rookie Kris Dunn e avvicinato precedentemente ad altre franchigie. Ansioso di lasciare Sacramento, Rudy Gay potrebbe essere utilizzato come pedina di scambio per arrivare al play dei Timberwolves, allo stesso modo di giocatori in eccedenza come Kosta Koufos e Ben McLemore.

 

IL FUTURO

Da chiarire la posizione di point-guard e con Gay, McLemore e Koufos in uscita, Afflalo, Temple e Richardson si divideranno più o meno equamente i minuti da shooting-guard, Barnes e Casspi quelli da small-forward, mentre Cousins (se resta), Cauley-Stein, Labisserie e Papagiannis andranno a riempire le due posizioni sotto le plance considerate imprescindibili per il sistema di gioco di Jorger. Un cantiere aperto sul cui completamento pesano la confusione e gli errori di una dirigenza che ha progressivamente eroso la fiducia e la passione dei propri fans, tutt’ora confusi sulle reali ambizioni della propria franchigia. A Dave Jorger l’ingrato compito di ricostruire un rapporto con la piazza, sopperire agli errori dei suoi superiori, implementare un sistema di gioco competitivo, coalizzare uno spogliatoio bizzoso ed esigente e, magari, provare a raggiungere un ottavo posto a Ovest che, mai come quest’anno, è diventato appetibile per tutti.