Da Nowitzki a Embiid passando per Green: la rivoluzione dei lunghi!

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Towns & Porzingis - © 2016 twitter/nbacom
Towns & Porzingis – © 2016 twitter/nbacom
Le mode passano, i tempi cambiano, e anche il gioco del basket, come tutto il mondo dello sport, è soggetto costantemente a modifiche che, piccole o grandi che siano, rivoluzionano pian piano il modo stesso di giocarlo e concepirlo. Se nella cultura popolare il basket è stato da sempre interpretato come uno sport per individui particolarmente fisici, atletici, nel quale vige la legge del “prendere rimbalzi e schiacciare“, la realtà mostra un aspetto ben differente: la distanza media dei tiri presi dai giocatori tende ad aumentare progressivamente, concretizzandosi in una percentuale crescente di tiri da oltre l’arco e, di conseguenza, una sempre più desueta abilità nel giocare sotto le plance.

Non solo guardie ed esterni, oggi è sempre più abituale assistere a lunghi che colpiscono, continuativamente e con grandi risultati, da distanze che fino a poco tempo fa sarebbero state considerate proibitive per giocatori con suddette dimensioni. DeAndre Jordan, Andre Drummond, Hassan Whiteside, Dwight Howard, possono essere considerati, fra i giocatori d’élite, i pochi superstiti che ancora resistono a questa rivoluzione del gioco.

In principio, il vento del cambiamento spirò dall’Europa, con l’arrivo di Dirk Nowitzki, ala grande/centro tedesco del quale si diceva fosse dotato di un tiro particolarmente efficace, il quale poi è stato notevolmente affinato durante l’arco della sua carriera. Oggi, proprio grazie a questa straordinaria abilità, Wunder Dirk è nella TOP 10 dei migliori scorer nell’intera storia NBA, con quasi 30mila punti realizzati. Con il passare degli anni, si è progressivamente allontanato dal canestro fino ad arrivare, attualmente, ad una distanza media di tiro di circa 6 metri, praticamente allo stesso modo di una shooting guard. Nowitzki può essere ritenuto, oltre che uno dei giocatori più forti ad aver mai calcato un parquet NBA, il precursore per eccellenza della trasformazione del lungo come un ruolo non più votato esclusivamente ai rimbalzi e ai punti in pitturato, ma finalizzato ad aprire il campo e colpire l’avversario da più posizioni.

Con capacità simili, forse anche superiori, nel nuovo Millennio un altro europeo giunse in NBA a proseguire la rivoluzione già messa in atto dal tedesco: Pau Gasol. Con 18 punti di media distribuiti in 17 anni di carriera nel campionato più bello del mondo (escludendo i suoi esordi in Spagna), Pau è ancora oggi, alla veneranda età di 36 anni, fra i lunghi più produttivi in termini di punteggio; non a caso Popovich lo ha scelto per ereditare, seppur per un breve periodo, la pesante eredità che Tim Duncan ha lasciato in casa Spurs. Il suo range di tiro si è allargato con il passare degli anni, portandolo ad essere un eccellente realizzatore di long-two e, attualmente, anche un discreto tiratore da 3 punti, oltre a un notevole lettore del gioco.

Tuttavia, è stato con l’avvento dello small ball introdotto da Steve Kerr agli Warriors che il gioco, come era conosciuto in precedenza, è definitivamente tramontato. Più ritmo, più velocità nelle transizioni, scelte rapide e conclusioni da qualsiasi distanza: questi sono i punti su cui poggia le basi la filosofia del visionario coach di Golden State. Ovviamente, l’applicazione concreta di questa teoria è stata resa possibile solo da un giocatore che, oltre a coniugare le proprie abilità con le richieste del coach, contribuisse a equilibrare le due fasi del gioco: Draymond Green. Indispensabile la sua fisicità a rimbalzo e la sua tenacia nella fase difensiva, notevoli ed importanti le sue pressoché complete qualità offensive, Green gioca da Ala Grande ma è stato schierato efficacemente da Centro nella tanto famosa quanto devastante death lineup degli Warriors; non solo, però, potrebbe ricoprire agevolmente qualsiasi altra posizione in campo. A dare manforte a queste osservazioni, parlano i numeri delle sue ultime due stagioni: 12 punti, 6 assist, 10 rimbalzi, 1.8 rubate, 1.5 stoppate, una percentuale del 34% da oltre l’arco e un 45% di precisione totale; medie che lo rendono, dopo Lebron James, il giocatore più completo dell’intera Lega.

Guardando al futuro, è evidente quanto i lunghi di maggiore prospettiva rispecchino a pieno questa tendenza. Karl-Anthony Towns e Kristaps Porzingis, con qualità differenti, hanno sbalordito tutti gli appassionati con numeri e giocate difficilmente riscontrabili in semplici rookie; adesso è venuto il momento di Joel Embiid, sicuramente meno efficace dei due precedenti nelle conclusioni dalla lunga distanza (anche se contro i Cavs ha fatto 4/4 dai tiri da 3 punti), ma già dotato di un affidabile medio range di tiro. Del tutto peculiari, invece, le qualità di Demarcus Cousins, che ha già all’attivo una facile doppia-doppia ad ogni allacciata di scarpe, ma è ancora alla ricerca di un più efficace tiro dal medio-lungo raggio che lo renderebbe, qualora lo acquisisse, fra i lunghi più letali in circolazione.

Piaccia o non piaccia, il gioco del basket sta attuando la propria rivoluzione; un mutamento che vedrà progressivamente scomparire i lunghi vecchio stampo, sostituiti o relegati a minutaggi ridotti da giocatori polifunzionali e tecnicamente completi.

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