NBA Draft Stories: che fine ha fatto la classe 2013?

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Anthony Bennett © Joe Camporeale/USA TODAY Sports
Anthony Bennett © Joe Camporeale/USA TODAY Sports
Il Draft NBA è una lotteria, una combinazione che può stravolgere nel bene e nel male le sorti future di una franchigia che ha deciso di puntare tutte le fiches nella scelta di un giocatore che, al di là delle presentazioni, subisce un impatto variabile con il mondo NBA.

Il Draft del 2013, sebbene sia stato etichettato come uno dei più poveri di talento degli ultimi anni, ha seguito la stessa tendenza, lasciandosi dietro grandi giocatori, cocenti delusioni e incredibili sorprese. Poco più di quattro anni dopo, è venuto il momento di analizzare nel concreto gli effettivi risultati e i conseguenti equilibri sui quali la Lega si è stabilizzata dopo la notte del Barclays Center del giugno 2013.

Lo steal of the draft è stato, senza ombra di dubbio, Giannis Antetokounmpo, scelto da quella che è la sua attuale franchigia con la 15° pick. La sua commovente storia di vita lo ha trascinato dalla povertà assoluta vissuta nei sottoquartieri di Atene alla rapida ascesa come uno dei cestisti più forti e giovani del pianeta. Eppure, c’era chi, in quel 2013, sosteneva che l’allora diciannovenne avesse delle enormi potenzialità balistiche tuttavia del tutto da sviluppare in un campionato inferiore alla NBA, in modo da assorbire lentamente le ampie differenze che dividono i campionati greco e spagnolo dalla Lega di basket professionistico per eccellenza. Nonostante ciò, il giovane talento greco è riuscito a ritagliarsi fin da subito un posto importante nel suo team, giungendo a giocarsi i playoff soltanto 1 anno e mezzo dopo il suo debutto, e risultando attualmente il leader dei Bucks guidati da Jason Kidd. Lungo, agile, tecnico ed esplosivo, Antetokounmpo rappresenta il prototipo di giocatore del futuro, e al suo quarto anno in NBA sembra finalmente aver maturato l’esperienza giusta per trascinare il suo team verso traguardi importanti.

Il maggiore flop, invece, è risultato essere Anthony Bennett, che di Antetokounmpo è sostanzialmente l’antitesi. Famoso già dai tempi del college, i Cleveland Cavaliers spesero, sbagliando, addirittura la prima scelta assoluta per assicurarsi le prestazioni del lungo prodotto di UNLV. La sua carriera può essere sintetizzata come un triste vagare fra le panchine di mezza NBA oltre che di D-League, culminata, attualmente, ai Brooklyn Nets, nei quali comunque è arrivato con un ruolo ancor meno che da comprimario. Se il buongiorno si vede dal mattino, l’inizio di stagione, in quella che dovrebbe essere la sua ultima spiaggia, non è stato particolarmente brillante, avvicinando le sue disavventure a quelle vissute da altri storici flop, del calibro di Greg Oden (frenato però dagli infortuni), Sam Bowie e Kwame Brown.

Detto già del greco di Milwaukee, le altre scelte maggiormente redditizie sono state sostanzialmente tre: Steven Adams, CJ McCollum e Dennis Schroder. Differenti nei ruoli e nelle abilità personali, sono accomunati da un percorso di crescita lento, caratterizzato da un minutaggio ridotto ma crescente e culminato, negli ultimi mesi, con la conquista di un posto in quintetto ed un ruolo di riferimento nelle loro rispettive franchigie. Il neozelandese, sul quale i Thunder avevano puntato la loro dodicesima pick, è letteralmente esploso negli scorsi playoff quando, con la propria fisicità e il proprio atletismo, aveva contribuito all’eliminazione degli Spurs; CJ McCollum, dopo una stagione portentosa, è stato nominato Most Improved Player of the Year, mentre il tedesco degli Hawks, concluso l’apprendistato alle spalle di Jeff Teague, è diventato il playmaker titolare del team di Budenholzer con stats da 15.5 punti e 5.7 assist.

Se fra le note positive si ricordano giocatori scelti in seguito alle prime 10 chiamate, fra i tasti dolenti, invece, si rammentano giocatori che, nonostante siano stati selezionati con le pick più prestigiose, non hanno saputo imprimere un significativo marchio all’interno della Lega che avrebbero dovuto cambiare. Il primo fra tutti è Victor Oladipo, che nonostante le buone medie realizzative sostenute fin dai primi mesi ad Orlando, non è mai riuscito a raggiungere la maturazione cestistica necessaria ai Magic per uscire dal pantano nei quali stazionano da circa cinque stagioni. La seconda scelta del Draft 2013, attualmente, si è trasferito ad OKC per fare il secondo/terzo violino di Westbrook nei Thunder del post-Durant, tuttavia continuando nel solco tracciato nei primi 4 anni di attività. Molto simile è il percorso sostenuto fin qui da Otto Porter, ala piccola scelta dagli Wizards con la terza pick, dal quale ci si aspettava una crescita molto più rapida; più volte vicino al trasferimento, attualmente sta disputando un’ottima stagione cercando di togliersi dalle spalle l’etichetta di eterno incompiuto.

Percorso inverso, tuttavia negativo, è stato quello di Michael Carter-Williams, che dopo il riconoscimento di Rookie of the Year e una carriera preannunciata gloriosa, è progressivamente calato soprattutto dopo il passaggio dai Sixers ai Bucks, per poi cercare di rilanciarsi ai Bulls. Ciò nonostante, se fra i giocatori citati possono comunque ritrovarsi dei segnali positivi, la delusione più sorprendente è stata Ben McLemore, giunto ai Kings fra i clamori di mass-media che lo prospettavano anche più in alto della settima scelta con il quale è stato chiamato, ma destinato ad occupare la panchina dei californiani per ancora molto tempo.

Concludiamo ricordando le sorprese che, nell’arco del periodo considerato, sono riusciti a rovesciare i pronostici, conquistandosi ruoli importanti nelle proprie franchigie. Fra queste è impossibile non citare Rudy Gobert, oramai diventato un centro con una doppia-doppia in canna ad ogni allacciata di scarpe, scivolato quattro anni fa fino alle ventisettesima pick; grande intuizione o colpo di fortuna per la dirigenza dei Jazz, che riuscì ad ottenere questa scelta dai Nuggets. Infine Allen Crabbe e Mike Muscala, i migliori fra i giocatori scelti al secondo giro, che negli ultimi mesi hanno saputo guadagnarsi minuti importanti in uscita dalla panchina rispettivamente a Portland ed Atlanta.

3 COMMENTS

  1. Nell’all-time Odom non conta, gli infortuni fanno alibi
    Sam Bowie è stato un fallimento relativo al draft in cui era, una lunghezza avanti a Michael Olowokandi.
    Kwame Brown alla fine ha fatto “quello che esce dalla panchina” …

    Se decontestualizziamo dall’anno e facciamo una classifica delle prime scelte Bennet penso sarebbe ultimo con distacco.

    • Gli alibi contano, purtroppo però ai Blazers nessuno ridarà indietro la prima scelta spesa per Oden, facendo risultare la sua chiamata fallimentare. Paragonando i giocatori, ovviamente, Bennet è quello che ha dato meno alla NBA in termini di rendimento, tuttavia ha ancora qualche annetto da giocare prima di essere giudicato definitivamente! 😉

      • … se giocasse … ma se non hai minuti ai Nets, non ti fai notare quando sei in nazionale, il suo posto è oltre oceano (Atlantico o Pacifico che sia).

        Gioca 12 minuti, per uno che era stato spacciato per NBA ready.
        P.S. si deve dire che quell’anno i CAVS hanno fatto di tutto per dare via la prima scelta (che per quanto poco ha il contratto garantito 2 anni a delle cifre “medie”)

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