Miami Heat: la rivincita degli underrated di Spoelstra

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Dion Waiters - © 2017 twitter.com/MiamiHEAT
Dion Waiters – © 2017 twitter.com/MiamiHEAT
Nelle diverse previsioni azzardate nei giorni antecedenti allo start della nuova stagione NBA, nessuno aveva ipotizzato di vedere, a questo punto dell’annata, i Miami Heat in piena corsa per una posizione playoff. Le deludenti prestazioni offerte soltanto pochi mesi prima, il fallimento dell’operazione Durant, il destabilizzante addio di Wade, erano elementi che facevano propendere gran parte degli esperti per l’avvio di un pesante rebuilding in casa Heat, e, di conseguenza, per una stagione fatta di tanti bassi e pochi alti.

Del resto, le prime settimane di regular season non avevano fatto altro che confermare le previsioni, con sole 11 vittorie conquistate nei primi 41 match disputati. Una prima parte di stagione disastrosa, ma in linea con le attese di esperti e tifosi, ormai rassegnati a vivere un’ulteriore annata lontanissima dai fasti di un tempo. Dalla metà di gennaio in poi, invece, la squadra ha totalmente cambiato marcia, conquistando 18 vittorie in 22 incontri, mettendo tra l’altro a segno il record assoluto di vittorie consecutive in una singola stagione (13). Adesso Miami occupa la nona posizione della Eastern Conference ed è lanciata, più che mai, alla conquista di un agevole ottavo posto, per il momento occupato dai non eccezionali Detroit Pistons.

L’artefice principale di questa evoluzione non può essere altro che Erik Spoelstra, coach le cui doti tattiche e motivazionali sono state spesso sottovalutate. Da un roster carente di stelle, pieno di giocatori con mediocri esperienze alle spalle, l’unica alternativa al naufragio è stata la sapienza del coach di origini filippine nel coinvolgere tutti i suoi uomini, mettendoli tutti sullo stesso piano, generando amalgama, unità e coesione di spogliatoio. Di conseguenza, da un ambiente stimolante e positivo, ne hanno beneficiato soprattutto le prestazioni dei giocatori, la maggior parte dei quali si stanno esprimendo su livelli mai raggiunti in precedenza. Si prenda, ad esempio, Luke Babbitt, che, tra D-League e panchina, i parquet della NBA li ha calcati quasi sempre nei garbage time, ed ora è un solido titolare, irrinunciabile nell’aprire il campo e in transizione difensiva. Si prenda James Johnson, etichettato come “bollito” a Toronto, ed oggi importantissimo in uscita dalla panchina con medie da 12 punti più 5 rimbalzi; oppure Wayne Ellington, che in 24 minuti di media ne sta piazzando mediamente 11 a partita. Analogamente a quanto visto a Portland nella scorsa stagione, i Miami Heat hanno alzato l’asticella delle performance ben oltre il loro reale potenziale, dimostrando che compattezza ed entusiasmo sono variabili fondamentali in uno sport dove il talento non basta per portare a casa le vittorie.

Detto dell’estrema importanza rivestita dai cosiddetti comprimari nel sistema di Spoelstra, è innegabile non soffermarsi sulla fondamentale posizione occupata da alcuni giocatori, che più di altri contribuiscono a rendere Miami una variabile impazzita all’interno dello scacchiere orientale. Primo fra tutti Hassan Whiteside, vero leader della franchigia, firmato a cifre da capogiro soltanto pochi mesi fa, adesso primo della Lega per rimbalzi catturati /14.1), nella top 5 per stoppate (2.1), secondo miglior realizzatore della squadra (16.7). A 27 anni, il centro di Gasconia rappresenta la pietra su cui costruire il futuro prossimo della franchigia della Florida. Alle sue spalle, però, agiscono due giocatori che, finalmente, stanno dimostrando il valore soltanto percepito nelle stagioni precedenti: Goran Dragic e Dion Waiters. 20 punti di media il primo, 16 il secondo, sono incaricati di gestire il ritmo, generare fluidità, prendere i tiri decisivi. E poi c’è Tyler Johnson, tra i migliori sixth man in stagione, che assicura qualità e prestazioni simili alle due guardie titolari, garantendone il necessario riposo. E’ grazie alla profondità del roster, alle eccellenti prestazioni offerte da tutti (nessuno escluso) i giocatori, che i Miami Heat riescono a spaccare le partite, a sovrastare le squadre avversarie con entusiasmo ed energie inesauribili, caratteristica principale di una squadra che dalla metà di gennaio ha costruito la propria competitività all’interno, senza ricorrere al mercato.

2 volte Houston, poi Golden State, Atlanta e Chicago, sono solo alcune delle vittime mietute dagli uomini di Spoelstra in questa stagione, che solo un paio di giorni fa hanno fatto a fette i campioni in carica di Cleveland, orfani però di Lebron James e Kyrie Irving. E come nelle più belle storie di sport, i Miami Heat potrebbero ritrovarsi proprio il grande ex con la casacca numero 23 come primo rivale alla prossima post-season, per tentare, ancora una volta, l’ennesima impresa.