Scarse ambizioni, zero progetti: che futuro attende i Chicago Bulls?

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I Chicago Bulls vivacchiano in una zona playoff apparentemente sicura, con un record di 30 vittorie e 30 sconfitte, e un rapporto fra punti concessi e punti subiti sostanzialmente alla pari. Tutto sommato una situazione positiva, considerate anche le scarse ambizioni con cui la franchigia dell’Illinois aveva cominciato la stagione, per la quale l’unico obiettivo era quello di centrare una comoda post-season. Detto ciò, se ti chiami Chicago Bulls, se sei fra i team più gloriosi e importanti che caratterizzano questa Lega, soprattutto, se da un paio di stagioni a questa parte non fai altro che galleggiare fra le ambizioni di competitività e la ricostruzione totale, i risultati di questa stagione non possono bastare, anzi possono essere considerati piuttosto fallimentari.

Dopo un confortante avvio di stagione, fatto di 10 vittorie nelle prime 16 partite giocate, un’involuzione di gioco e di affiatamento ha caratterizzato la squadra tra il mese di dicembre (11 sconfitte su 17 match) e quello di gennaio, facendo precipitare la franchigia anche al di fuori della zona playoff, considerata obiettivo minimo per non gettare all’aria l’intera stagione. Dopo il match casalingo contro Atlanta, nel quale i Bulls, in vantaggio per larghi tratti, sono stati rimontati e sconfitti nei minuti finali, Dwyane Wade, giunto nell’Illinois per fare da chioccia ad un nucleo giovane e ambizioso, è sbottato davanti ai mass-media:

“Ho 35 anni, ho vinto tre campionati. Queste sconfitte dovrebbero fare male più a loro che a me.”

L’obiettivo dell’ex numero 3 di Miami era quello di far comprendere a compagni di squadra, coach e staff dirigenziale l’importanza di gettare in campo il tutto per tutto, di aiutarsi l’un l’altro, soprattutto di far capire che non aveva lasciato la sua franchigia storica per incassare figuracce una dopo l’altra, ma di dare rinnovato vigore e rispetto al team della sua città natale, Chicago. A fargli eco, successivamente, sono giunte le dichiarazioni dell’altro leader dello spogliatoio, Jimmy Butler:

“Vedo gente poco arrabbiata dopo una sconfitta. Io voglio giocare con gente che vuole il bene di questo team e di questa città.”

Messaggi forti, rumorosi, che dovevano colpire nel profondo la frangia più giovane della franchigia, quei giocatori come Mirotic, Portis, Valentine, Carter-Williams, sui quali la dirigenza ha puntato in off-season per dare esplosività ed energia alle prestazioni della squadra, e che invece si stanno dimostrando progressivamente giocatori poco più che mediocri. La situazione, però, ha rischiato di sfuggire di mano quando Rajon Rondo, abituato nella sua carriera a sentire solo ciò che diceva la sua testa, ha indirettamente attaccato i suoi due leader:

“Ai tempi dei miei Celtics, certe cose restavano nello spogliatoio. I media hanno dipinto questi ragazzi come un gruppo di svogliati.”

Quello è stato il momento più duro della stagione, dove è sembrato del tutto fallito il progetto di una dirigenza che non ha ancora deciso se ricostruire da zero o provare a dare lustro e competitività ad una franchigia, rinnovandola, senza un serio progetto, di anno in anno. Nonostante ciò, nell’ultimo mese i Bulls sono sembrati essere in leggera crescita, arrivando a conquistare 4 vittorie consecutive prima della roboante sconfitta subita ieri notte dai Denver Nuggets.

IL MERCATO

L’alone di mediocrità che aleggia intorno alla franchigia di Windy City è da addossare fondamentalmente allo staff dirigenziale e al suo vertice, che risponde al nome di Gar Forman. Fu lui a silurare Thibodeau, a rompere uno spogliatoio unito e combattivo, in nome di un gioco più fluido, di un roster più giovane, guidato da un coach universitario di grandi ambizioni come Fred Hoiberg. Fu lui a ideare il disegno di un re-building imperniato sulla figura di Jimmy Butler, guida di un roster fresco, dinamico e di talento, che però a Chicago non si è ancora visto. Anzi, il 27enne all star nativo di Houston rappresenta il più grosso punto interrogativo della città del vento. Nel pieno della sua carriera, con una coda infinita di pretendenti alle sue prestazioni, la sua permanenza in Illinois è tutt’altro che scontata nel prossimo futuro, e il contratto in scadenza fra tre anni e mezzo non può far dormire sonni tranquilli alla dirigenza, che infatti si è mossa anche nella precedente finestra di mercato per cercarlo di piazzarlo al miglior offerente. Se Boston non avesse escluso la possibilità di cedere la sua prima scelta al prossimo draft, probabilmente in questo momento Jimmy Butler avrebbe addosso una casacca verde; tuttavia il discorso sarà probabilmente ripreso nella prossima off-season.
Nel frattempo, Forman ha continuato a smembrare lo spogliatoio dai suoi senatori, spedendo Taj Gibson e Doug Mcdermott a Oklahoma City, per ricevere in cambio Jeoffrey Lauvergne, Cameron Payne ed Anthony Morrow, giocatori forse funzionali all’idea di gioco del coach, ma il cui talento non è mai sbocciato del tutto.

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