T’Wolves: il talento non basta, tredicesimo anno senza playoff!

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Se c’era una squadra designata ad essere la grande sorpresa della stagione, quella era Minnesota. Un roster giovane ma di grandi prospettive, un allenatore di grande esperienza e carisma, un ambiente carico e pronto per sostenere i propri beniamini alla conquista di un’agognata posizione playoff, che manca dai tempi di Kevin Garnett. Ed invece, nonostante le ottime prestazioni individuali delle tanti giovani stelle che compongono il roster, l’arrivo di coach Thibodeau non è riuscito a dare la svolta tanto sperata, e la franchigia naviga, come ormai ci ha abituato da qualche tempo a questa parte, nei bassifondi della Western Conference, da diverse settimane matematicamente fuori dai playoff e con un futuro tutto da scrivere.

Il drammatico avvio – con 22 sconfitte nelle prime 33 partite – ha segnato inesorabilmente gli ottimi propositi che caratterizzavano i Timberwolves ad inizio stagione. La discreta ripresa avvenuta nel mese di gennaio, con 8 vittorie su 15 match, aveva ridato un bagliore di speranza, spento però piuttosto rapidamente con un nuovo calo che ha caratterizzato la seconda parte di stagione (20 sconfitte su 32). E così, a pochi giorni dall’avvio dei playoff NBA, i Minnesota Timberwolves saranno costretti a concludere per la tredicesima volta consecutiva la loro stagione anzitempo, cercando di imparare dai propri errori e di dare finalmente la svolta tanto attesa nella prossima stagione.

Dove cercare le cause dell’ennesimo fallimento?

Partendo innanzitutto dalla fase difensiva, che con l’arrivo di Thibodeau – coach tra i migliori della Lega sotto questo aspetto – non ha compiuto quel passo in avanti che ci si aspettava. I T’Wolves sono al momento la diciottesima difesa della NBA con 106.5 punti subiti di media a partita, dimostrando quanto non sia sufficiente mettere sotto contratto un coach valido per ottenere un upgrade rispetto ai precedenti. Thibodeau, infatti, a Chicago era abituato ad uno stile di gioco ragionato, lento, fisico ed aggressivo; a Minnesota ha trovato invece un roster atletico ed esplosivo, che ha bisogno di correre in transizione ma che lascia, inevitabilmente, spazio ai contropiede avversari. Del resto anche la fase offensiva, nonostante sia piuttosto discreta (105.5 punti di media), sembra essere più frutto del talento individuale dei vari Towns, Wiggins, Lavine e Rubio, che di un meccanismo di gioco ben oliato. Infine, ci si mettano i pesanti infortuni che hanno colpito pezzi importante del roster e che hanno evidenziato la carenza di alternative valide. La sfortuna ha voluto, infatti, che Zach Lavine, autore di una stagione da protagonista (19 punti di media), si rompesse i legamenti del ginocchio e concludesse la stagione ai primi di febbraio, ovvero nel momento migliore della squadra. I suoi sostituti – Brandon Rush e Kris Dunn su tutti – non hanno saputo garantire, ovviamente, lo stesso apporto offensivo che l’ex UCLA riusciva a dare in campo. Inoltre, non si dimentichino gli infortuni di Nemanja Bjelica – out dal 15/3 – che assicurava fisicità e tecnica in uscita dalla panchina, e di Nikola Pekovic, il quale soffre da tempo di un problema al tendine d’achille, che mette a rischio la sua intera carriera.

Da salvare, dunque, restano le prestazioni individuali e la crescita dimostrata dai pezzi da novanta. Karl-Antonhy Towns si è confermato essere uno dei centri più forti in circolazione, apprestandosi a chiudere a stagione a 25 punti e 12 rimbalzi di media al secondo anno in NBA; Andrew Wiggins ha innalzato le sue performance offensive, attestandosi su medie da circa 24 punti a partita.

Inoltre si è ritrovato Ricky Rubio, sul piede di partenza nei primi mesi di stagione e poi letteralmente decollato dopo la trade deadline, periodo dal quale tiene medie da 17 punti e 11 assist circa. Ai tre si aggiungano un Zach Lavine delle cui prestazioni pre-infortunio si è già parlato; e Gorgui Dieng, che ha dimostrato di poter giocare sia in coppia che in sostituzione di Towns.

Nonostante una stagione sotto le aspettative, il futuro continua ad essere piuttosto confortante. Già presente un’ossatura solida e di talento, che ha solo bisogno di amalgamarsi partita dopo partita, il roster deve essere migliorato nella sua second unit e nel pacchetto tiratori. Manca infatti uno stretch four in grado di aprire il campo alle penetrazioni di Wiggins e al gioco in post di Towns. Nei mesi scorsi sono stati cercati i vari Gibson, Mirotic, ma anche Monroe e Okafor per dare peso in area. Non solo free agency però. Thibodeau sarà chiamato anche a fare la scelta corretta al prossimo draft, l’ennesimo dal quale Minnesota cercherà di pescare il tanto agognato upgrade.