Stagione mediocre, Pacers al bivio: via Larry Bird, cosa farà Paul George?

0
1335

Paul George © 2016 NBAE / Getty Images
Paul George © 2016 NBAE / Getty Images

Difficile, se non impossibile, trovare un fan dei Pacers soddisfatto dopo la stagione appena conclusasi. E’ vero, la squadra ha centrato l’obiettivo minimo stagionale dell’accesso ai playoff, ha saputo regalare momenti esaltanti, e c’è chi potrebbe storcere il naso a giudicare sotto la sufficienza il rendimento di Indiana nell’annata 2016/2017. Ma è anche vero che questa era una squadra costruita per puntare a traguardi ben più ambiziosi di un settimo posto con annesso sweep al primo round di playoff; se poi si aggiunge che codesto sweep è stato rimediato dal nemico storico, ossia quel LeBron James che strappò per ben due volte l’accesso alle Finals alla franchigia di Indianapolis a cavallo fra 2014 e 2015, il gioco è fatto.

Gli arrivi in estate di Jeff Teague e Thaddeus Young, per completare un quintetto di rilievo, e di Aaron Brooks e Al Jefferson, per apportare esperienza e qualità alla second unit, più la scommessa Nate McMillan come capo allenatore, avevano ridato vigore e speranza ad un ambiente che da troppo tempo non calcava scenari importanti. Indiana, secondo la maggior parte degli esperti, partiva nel gruppo di squadre appena sotto Cleveland, in grado di giocarsi le chance per conquistare una posizione tra la seconda e la quinta al massimo, potendo ambire ad un record finale abbondantemente superiore al 50%. Invece si è assistito ad una stagione in chiaroscuro, con l’accesso alla post-season acciuffato per il rotto della cuffia all’ultima giornata, un record finale di 42 vittorie e 40 sconfitte, ed un poco dignitoso 4-0 rimediato dai Cavaliers al primo turno playoff.

IL CAMMINO

Ballando fra la quinta e la ottava posizione, il percorso iniziale è stato piuttosto altalenante, ma giustificato dai nutriti cambiamenti occorsi nella pre-season. Poi, a cavallo fra la fine di dicembre e l’inizio di febbraio il momento migliore della stagione, caratterizzato da ben 14 vittorie su 18 match disputati, e la sicurezza maturata di aver raggiunto finalmente quel salto di qualità tanto atteso. Invece, a seguito di questo periodo esaltante, è giunto piuttosto inaspettatamente un calo clamoroso di rendimento e prestazioni – 18 sconfitte su 26 partite – che ha compromesso anche le chance di accedere alla post-season, salvate più dal calendario favorevole che da un miglioramento delle performance. Fatta eccezione per la vittoria contro i Bucks, infatti, le ultime 5 vittorie consecutive che hanno permesso ad Indiana di acciuffare il settimo posto, sono arrivate contro squadre già classificate alla post-season o che non avevano più nulla da chiedere alla propria stagione.

IL FUTURO

Se si volessero promuovere comunque alcuni giocatori che più di altri hanno permesso ai Pacers di evitare quello che stava per diventare un fallimento, la scelta ricadrebbe soprattutto su due elementi: Myles Turner e Lance Stephenson. Il primo ha confermato pienamente le aspettative e i progressi mostrati già nell’anno da rookie, mantenendo medie da circa 15 punti e 8 rimbalzi a partita, oltre che più di 2 stoppate a sera. Seconda/terza alternativa offensiva, fondamentale in difesa, importante tatticamente, il giovane lungo è pronto a diventare il giocatore su cui i Pacers costruiranno il loro breve e lungo periodo.

Born Ready, dal canto suo, è arrivato ad Indiana agli ultimi scampoli di regular season, dopo qualche mese passato a scaldare l’infermeria di New Orleans, ma è riuscito fin da subito a dare quella scossa che serviva ad un roster ormai rassegnato al fallimento. Nei playoff contro Cleveland è stato tra i più positivi, riuscendo a segnare circa 16 punti di media a partita, trascinando carismaticamente i suoi. Noto più per i suoi comportamenti esagerati che per le prestazioni sul parquet, Stephenson ha però mostrato di valere il triennale che Bird ha deciso di concedergli qualche mese fa, sposando sportivamente la città di Indiana, l’unica dove è stato veramente apprezzato.

Un Paul George, invece, promosso con riserva: deludente nella prima parte di stagione, è ritornato ad essere la superstar che tutti conoscono nel finale di regular season e soprattutto nei playoff, dove non ha sfigurato nel duello personale contro LeBron James. La stella dei Pacers, che ha una player option esercitabile dal giugno 2018, è giunto ad uno snodo fondamentale della sua carriera personale: restare ancora un anno ad Indiana ed aspettare la regolare scadenza del contratto, magari anche prolungandolo, oppure testare fin da subito la free agency, in cerca di qualche progetto più definito ed ambizioso. Il nativo californiano non ha mai nascosto la sua voglia di indossare un giorno la casacca dei Los Angeles Lakers, che a loro volta sono alla costante ricerca di una superstar in grado di rilanciare le loro sorti.

D’altro canto anche gli Indiana Pacers si trovano ad un bivio: cercare di scambiare George fin da subito, in cambio di scelte e giovani promesse che possano rifondare roster e progetto, oppure convincere PG a sposare la causa per un’ulteriore annata, sperando possa concludersi diversamente da quella appena terminata. Tuttavia, queste sono decisioni che non riguarderanno più Larry Bird, noto presidente della franchigia dal 2003, che immediatamente dopo la sconfitta con i Cavs ha rassegnato le sue dimissioni, passando la mano al già GM Kevin Pritchard. Al nuovo presidente l’ingrato compito di sciogliere tutti i nodi concernenti il futuro di George, di coach McMillan, e degli Indiana Pacers.