Durant, molto più di un MVP per i Warriors

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kevin durant Sono passati poco più di 12 mesi dalla famosa lettera su The Player’s Tribune in cui Kevin Durant annunciava l’addio agli Oklahoma City Thunder per trasferirsi nella baia di San Francisco e firmare con i Golden State Warriors. Un anno in cui molte cose sono successe, tra dubbi, critiche, haters che spuntavano da ogni parte, gufi, acciacchi fisici, polemiche su alcune dinamiche di spogliatoio: alla fine però KD ha portato a termine la sua missione, vincere il titolo NBA e lo ha fatto giocando una finale da urlo che gli è valsa il premio di MVP. Non contento, ha rifirmato a prezzo di “saldo” per agevolare la ricostruzione del roster del presidente Bob Myers… Chapeau!

Nei playoffs NBA 2015-16 gli Oklahoma City Thunder di Durant e Westbrook erano avanti 3-1 sui Warriors nella finale della Western Conference ma lì qualcosa si rompe e finiscono per perdere la serie: alle Finals ci va Golden State che a sua volta, avanti 3-1, perde 4-3 in gara 7 contro Cleveland. Quello è il momento in cui, sotto la grande pressione di Draymond Green, crolla la convinzione di KD di rifirmare e restare sostanzialmente a vita a Oklahoma City: anche i Boston Celtics ci provano ma Durant ha deciso, vuole il titolo NBA, è stanco di perdere, e la corte dei Warriors è determinante perchè sono la franchigia che più gli può permettere di raggiungere il rincorso Santo Graal.

Nella Baia viene accolto come un re (e ci mancava altro…), passa una buona fetta d’estate con Team USA, vince la medaglia d’oro a Rio e si porta avanti nella costruzione del rapporto con Draymond Green e Klay Thompson, poi inizia la regular season, attesissima. Il debutto casalingo contro i San Antonio Spurs è una sconfitta disastrosa, l’eco è fragoroso, gli haters gongolano e, con un po’ di fretta, si inizia a parlare del difficile inserimento di una star di puro isolamento come KD in un sistema democratico e di passing game come quello dei Warriors. Le cose però, in barba ai detrattori, migliorano di gara in gara, Durant gioca da MVP della Lega o quasi, Golden State veleggia, poi a febbraio l’infortunio al ginocchio a Washington, casa sua: il contatto fortuito con Pachulia, Kerr e i Dubs tremano, si teme per la stagione e invece in quattro settimane (non semplici per altro ma decisive soprattutto per riportare Steph Curry al centro della squadra…) c’è il rientro e KD è addirittura più forte.

kevin durant finals 2017 Golden State vince 31 delle ultime 33 gara disputate (dal 14 marzo), l’ultima sconfitta in regular season è coi Jazz il 10 aprile e da lì inizia una cavalcata irreale con 15 vittorie di fila per iniziare i playoffs: la 15esima è quella determinante, è gara 3 delle Finals a Cleveland, ed è il momento dell’incoronazione del figlio della signora Wanda Pratt. E’ lui a guidare l’11-0 dei Dubs e a mettere la tripla decisiva che schianta i Cavs per il 3-0 nella serie. Da ‘Unreliable’ (inaffidabile) a ‘Inconsistente come un cupcake’ (il famoso dolcetto delle magliette dei tifosi di OKC), diventa determinante, vincente, chirugico, necessario per la redenzione dei Warriors sconfitti nel 2016. La sua serie finale è da annali: 35 punti (38, 33, 31, 35, 39), 8 rimbalzi, 5 assist, 1.6 stoppate di media col 56% dal campo, il 47% da tre (su quasi 8 tentativi) e il 93% ai liberi, numeri che gli sono valsi il giusto MVP ricevuto dalle mani di Bill Russell.

La vittoria del titolo NBA ha rafforzato ancora di più il legame tra Durant e la Dub Nation: KD è stato acclamato forse più di chiunque altro durante la parata per le strade di Oakland, la Nike ha prodotto uno spot dal titolo “Debate This” rivolto a tutti i detrattori del nativo di Seat Pleasant (ce ne sono comunque ancora che lo considerano un “coniglio”, “codardo” e quant’altro ma va beh…), lui ha popolato il suo canale YouTube e farà uscire un documentario sulla sua stagione. Tutte cose importanti che hanno trovato il suo culmine – dopo che è stato l’unico giocatore invitato all’inaugurazione dei lavori al Chase Center di San Francisco, il nuovo palazzo che aprirà nel 2019, e dopo aver rinnovato un playground a Lincoln Square Park, downtown Oakland, grazie alla sua fondazione – nella decisione di firmare il rinnovo a prezzo di “saldo” per permettere al presidente Bob Myers di lavorare in maniera più flessibile sul mercato.

KD infatti è uscito come previsto dall’accordo firmato lo scorso anno ma, dopo aver deciso di rinunciare al max, 34 milioni di dollari, è sceso a 25 milioni di dollari (biennale da 53 ma player option dopo il primo anno), una cifra di quasi 7 milioni inferiore al previsto e addirittura di 1.54 milioni meno rispetto alla stagione appena conclusa, una mossa che ha permesso alla franchigia di risparmiare 20 milioni di dollari in tasse (luxury tax da 52.4 a 32.4 milioni secondo le proiezioni dell’esperto Bobby Marks di ESPN). Tradotto, il presidente Bob Myers ha potuto tenere Andre Iguodala, Shaun Livingston, David West, Zaza Pachulia, e aggiungere due pezzi importanti e sulla carta ideali per il sistema come Omri Casspi e Nick SwaggyP Young, discolo arrivato dai Lakers dopo un lungo reclutamento di Curry, Green e dello stesso KD.

Coach Steve Kerr, intervistato da Anthony Slater del San Josè Mercury, ha detto a proposito di Durant:

KD ha facilitato molte cose. Sapevo che era disposto a rinunciare a un po’ di soldi per tenere Andre e Shaun ma non immaginavo fino a questo punto. E’ un gesto rimarchevole. Gli ho detto che mi ha ricordato quello che fece Tim Duncan con gli Spurs, che ad un certo punto della carriera riunciò a molti soldi per permettere alla franchigia di aggiungere giocatori importanti. Tim ha agevolato la sua carriera e così sta facendo Kevin, ha agito in funzione della sua carriera, vincere dei titoli, ed è quello che più gli importa“.

Parole importante di Steve Kerr, uno dei grandi protagonisti di questo ciclo dei Golden State Warriors perchè è stato in grado di convincere e coinvolgere tutti in questo progetto, di far quadrare il sistema, di trasmettere a tutti l’amore per il gioco e l’approccio West Coast: Kevin Durant, l’MVP delle Finals 2017, è solo la punta dell’iceberg di un sistema che funziona e funzionerà ancora per qualche anno almeno.