Melo e PG alla corte dell’MVP: OKC, sarà una contender o un grande flop?

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Starting 5 OKC © 2017 twitter.com/OklahomaCityThunder

Appena 12 mesi fa si parlava di una OKC che, perso Kevin Durant, avrebbe progettato il futuro sulla stella di Russell Westbrook, costruendo attorno a lui un nucleo di giocatori giovani ma adatti ad amalgamarsi alle doti del fenomeno con la casacca numero 0. In effetti, la regular season appena conclusa ha segnato la fine del dualismo KD-Westbrook, con la conseguente autorizzazione, per il play ex UCLA, di tenere il timone dei Thunder e guidarli verso i playoff. Sbattuta fuori al primo turno dai favoriti Rockets, Oklahoma City si è presentata all’offseason con l’intento di acquisire un paio di pedine che potessero farle compiere quell’upgrade necessario a colmare il gap con le altre big della Western Conference. In questo senso, Sam Presti ha lavorato egregiamente per conseguire l’obiettivo, riuscendo a portare in riva al North Canadian due assolute star di questa Lega: Paul George dagli Indiana Pacers e Carmelo Anthony dai New York Knicks, rinunciando però a discreti role player del calibro di Victor Oladipo, Domantas Sabonis, Enes Kanter, Doug McDermott e Taj Gibson. Apparentemente molto migliorati sotto il profilo tecnico, sarà soltanto il campo a saggiare le reali qualità di questi Thunder, che tuttavia si affacciano alla nuova regular season con l’appeal di una vera contender.

I punti di forza

Indubbiamente, un trio composto da Westbrook, George e Anthony può rappresentare un vero incubo per le difese avversarie. Russell ha appena concluso la stagione assicurandosi il premio di MVP della regular season, frutto soprattutto di quel record assoluto di triple-doppie stagionali di cui si è così discusso nei mesi precedenti. A lui si sono aggiunti due fuoriclasse di questo sport, due straordinari attaccanti in grado di flirtare spesso e volentieri con i 30 e passa punti a partita.

Tra l’altro, sebbene sia stato praticamente impossibile limitarlo nei mesi precedenti, Westbrook costituiva il fulcro da cui si sviluppava il sistema di gioco, l’unico in grado di segnare, di mettere in ritmo i compagni, di assumersi le responsabilità nei momenti topici del match. Nonostante, con ogni probabilità, il leit motiv continuerà ad essere lo stesso, l’aggiunta nello scacchiere di Donovan di due variabili di qualità come Melo e PG, permette al coach di muovere tatticamente i suoi giocatori a seconda del match, svincolando inoltre il numero 0 dalle pressioni, alleggerendone il suo minutaggio, aumentandone di conseguenza lucidità e concretezza: un mix perfetto per colpire le difese avversarie, che si vedranno gravate di difficoltà maggiori, a tratti insormontabili.
L’acquisizione dei due assi, per di più, si presenta a zero rischi: i due su citati, infatti, vedranno il proprio contratto scadere fra soli 12 mesi, svuotando in gran parte, in caso di fallimento, il pesante salary cap da oltre 130 milioni di dollari che caratterizza Oklahoma City. Vittoria o rebuilding: Sam Presti ha deciso di giocare l’all in, i mesi a venire gli daranno o meno ragione!

I punti di debolezza

Il roster, che lo scorso anno ha subito 106 punti a partita, appare pesantemente sbilanciato in avanti, con il rischio di collasso in fase difensiva. Affrontare team del calibro di Golden State, San Antonio o Houston senza aver trovato un equilibrio tattico fra le due fasi potrebbe essere devastante per le ambizioni della franchigia di Oklahoma City. Oltretutto, eccezion fatta per Andre Roberson e Steven Adams, inevitabilmente assi portanti dell’assetto difensivo ideato da Donovan, e per Paul George, che ad Indiana si è sempre assunto la responsabilità di marcare i portatori di palla avversari, i restanti componenti del roster, con Melo e Westbrook in testa, hanno dimostrato troppo spesso la loro insofferenza a rinculare in transizione difensiva a protezione della loro area.

Tatticamente, inoltre, persiste l’incognita dello slot da Ala Grande, occupato, a seconda del match, da Carmelo Anthony o da Paul George. Se dal punto di vista offensivo questo rappresenterà un vantaggio in termini di tecnica e imprevedibilità, dal punto di vista difensivo comporterà un deficit difficile da colmare, soprattutto trovandosi a fronteggiare giocatori abili e meglio dotati fisicamente. La protezione del pitturato e la cattura di rimbalzi difensivi, perciò, sarà competenza quasi esclusiva di Steven Adams, che, orfano dei partenti Kanter e Gibson, resta l’unico lungo affidabile su cui potrà contare Billy Donovan.