Next generation: Kyle Kuzma vs Donovan Mitchell, chi è lo steal of the draft?

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Donovan Mitchell vs Kyle Kuzma – © 2017 USA Today

Che l’NBA Draft 2017 fosse uno dei più interessanti di sempre, lo si era capito già diversi mesi prima, ai tempi delle prime schermaglie fra Lavar Ball (padre di Lonzo, attuale rookie dei Lakers) e l’intero mondo cestistico statunitense. Che tale Draft fosse quantomai ricco e produttivo in termini di quantità di prospetti che, chi più chi meno, sono pronti a prendere in mano la Lega negli anni a venire, lo si è scoperto durante queste settimane. Ancora orfani della prima scelta assoluta (Markelle Fultz è out a tempo indeterminato), dalla seconda scelta (Lonzo Ball) in giù, infatti, è stato un susseguirsi di piacevoli conferme o esaltanti sorprese, attorno alle quali si sono generate le solite “discussioni da bar” sulle reali potenzialità che potranno esprimere questi ragazzi da qui in avanti.

Certo, a differenza degli anni precedenti, quando la parola Draft veniva spesso associata al premio Rookie of the Year, nella regular season attuale la storia sembra essere ben diversa, dato che il maggiore indiziato sembra essere Ben Simmons (prima scelta assoluta al Draft 2016). Out per tutta la scorsa annata a causa di un infortunio, l’australiano dei Sixers ha debuttato soltanto all’inizio della nuova stagione regolare, sbaragliando letteralmente la concorrenza con prestazioni e personalità che lo avvicinano già ai big di questa Lega. Volendo però volgere lo sguardo essenzialmente ai ragazzi prodotti dal Draft 2017, è inevitabile che il discorso ricada su due assolute sorprese, che si contendono attualmente la palma di “steal of the draft”: non Lonzo Ball, Markelle Fultz o Josh Jackson, bensì Donovan Mitchell e Kyle Kuzma, rispettivamente dagli Utah Jazz e Los Angeles Lakers.

L’astro nascente di Salt Lake City

Il quarto posto, con annessa semifinale playoff, con il quale hanno concluso la scorsa stagione, aveva dato speranza ed entusiasmo ad un ambiente non troppo abituato ai successi quale quello di Utah. Il precoce addio di Gordon Hayward, passato a Boston nella scorsa free agency, ha, per un attimo, cancellato le aspettative che pian piano i Jazz si erano conquistati con molta fatica. Solo per un attimo, però, perchè se disponi di uno dei coach più bravi dell’intera NBA (Quinn Snyder) e di una dirigenza che sembra non fallire mai un colpo, dove si chiude una porta si apre un portone: e quel “portone” si chiama Donovan Mitchell, 21enne scelto con la tredicesima pick allo scorso Draft.

In quel di Denver, molto probabilmente, si staranno mangiando le mani nel pensare che il talento prodotto dei Cardinals avrebbe potuto giocare in casacca Nuggets, se solo non avessero scambiato la tredicesima scelta con Utah, in cambio della 24 e di Trey Lyles. Dopo due stagioni NCAA da protagonista, concluse con la convocazione per l’All Defensive Team e l’All Conference 1st Team, ha pian piano relegato alla panchina Rodney Hood, divenendo prima la SF titolare dei Jazz, e successivamente il nuovo volto della franchigia, con medie che si assestano sui 18 punti, 4 rimbalzi e 3.5 assist nelle sole prime settimane di carriera NBA. Si è tolto la soddisfazione di realizzare il proprio momentaneo carrer-high, piazzando 41 punti ai Pelicans di Cousins e Davis, e di segnare almeno 20 punti per quattro partite consecutive, come solo Darrell Griffith era riuscito prima d’ora in casacca Jazz nel proprio anno da rookie. Non solo, ha pure ricevuto endorsement dallo stesso Cousins e da Paul George: il Vivint Smart Home Arena di Salt Lake City ha un nuovo re!

Il ragazzo da Flint – Michigan

Non chiamatelo “l’altro rookie”. Selezionato dai Lakers con la pick n.27, passata ai losangelini nella trade Russell – Mozgov – Lopez, Kyle Kuzma non ha certo rivestito il clamore mediatico suscitato dalla seconda scelta con cui è stato chiamato Lonzo Ball. A fari spenti, però, il giovane prodotto di Utah University ha impressionato gli addetti ai lavori, prima in Summer League e Pre-season, e poi durante la stagione regolare, condotta con medie da 17 punti e 6.5 rimbalzi a partita. La sua è la classica storia di un ragazzo americano, sopravvissuto alle angustie della vita grazie a talento e passione. Estremamente versatile e in grado di giocare sia da ala piccola che da moderno “stretch four”, è stato in grado di rubare minuti ai vari Larry Nance JR e Julius Randle, divenendo l’asso nella manica di Coach Walton. Ruvido e determinato in fase difensiva, concreto e preciso in attacco, fa dell’atletismo la sua dote principale.