San Antonio Spurs: sistema inossidabile, dinastia eterna. O forse no?

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San Antonio Spurs – © livescore.it

Trenta vittorie (63%), un quarto posto appena dietro i Minnesota Timberwolves, una situazione apparentemente tranquilla per un posizionamento playoffs: nulla di nuovo, verrebbe da dire, a San Antonio. Eppure la stagione fin qui condotta dai texani è quantomai difficile da decifrare. Inarrivabile Golden State, superata abbondantemente pure dagli esplosivi Rockets di D’Antoni, che ruolo può svolgere la franchigia nero-argento all’interno del confuso scacchiere definito Western Conference? Meno in salute dei giovani Timberwolves, che vantano dalla loro prospetti di grande valore e veterani di sicuro affidamento, e tallonati dai talentuosi ma discontinui Thunder, che all’MVP della scorsa regular season Westbrook hanno affiancato Melo e Paul George, gli Spurs sembrano arrancare, messi in ginocchio da un’infermeria sempre piena, l’incessante avanzare dell’età della Dinastia per eccellenza e un processo di ringiovanimento ancora in fase embrionale. Attenzione, però, a dare per morti gli inossidabili “coyotes” targati Popovich: da troppo tempo si aspettano i titoli di coda della loro storica epopea, da troppo tempo vengono rinviati, quasi a pensare che siano immortali! I risultati, per ora, danno ragione alla vecchia volpe di Chicago (ma di origine serba): con il loro miglior giocatore out praticamente da inizio stagione, gli Spurs non accennano minimamente a mollare le posizioni di vertice. Cosa può succedere quando Kawhi Leonard tornerà attivo ed utilizzabile a pieno regime?

Leonard, Gay, Parker: quanti infortuni!

Da tempo si discute sulla possibile riduzione delle stagioni NBA, logoranti dal punto di vista psico-fisico per atleti costretti a giocare anche quattro volte a settimana. Se a ciò si aggiunge una complessiva età media del roster piuttosto elevata, ed una buona dose di sfortuna, ecco spiegata la critica e paradossale situazione vissuta attualmente ad Alamo City. Ai box fin dalla preseason per un’infiammazione al quadricipite femorale destro, Kawhi Leonard aveva finalmente messo piede in campo il 12 dicembre contro Phoenix. Tutto risolto? Neanche per sogno. Dopo nemmeno un mese di impiego, a dirla tutta abbastanza saltuario, la stella nero-argento è stato costretto a fermarsi nuovamente, dichiarato out a tempo indeterminato. Indiscrezioni dell’ultim’ora, però, fanno trapelare di un certo attrito fra lo stesso giocatore e lo staff medico texano, a causa dal metodo di trattamento per l’infortunio al quadricipite che ancora tiene l’All Star fermo ai box.

I malanni non hanno risparmiato nemmeno Tony Parker, che dopo aver saltato buona parte del primo ciclo di match stagionali, fatica notevolmente ad esprimersi sui livelli a cui ci ha abituato durante la sua lunga carriera. Una carta d’identità che sentenzia 35 anni, qualche acciacco di troppo e l’incessante avanzata del giovane Dejounte Murray hanno costretto Popovich alla decisione di spostare il transalpino, per la seconda volta in carriera, nella second unit.
Lo stesso Rudy Gay, arrivato per dare manforte al comparto di esterni, è fermo ai box da dicembre per un’infiammazione al tendine d’Achille (lo stesso che si fratturò circa 12 mesi prima), probabilmente smaltibile nel giro di 15-20 giorni. Il 32enne ex Raptors e Kings, oltretutto, sta disputando una stagione tra alti e bassi: assolutamente in declino dal punto di vista statistico (soli 12 punti di media), rappresenta comunque una chiave tattica di notevole rilievo, dal momento che è utilizzabile anche nel ruolo di “stretch-four“.

Aldridge e Ginobili: una seconda vita

Chi, nonostante a fine stagione avrà 41 anni, non smette mai di stupire è Manu Ginobili: semplicemente immortale! Vicinissimo all’addio alla fine della scorsa post-season, ha deciso di proseguire la sua epica avventura in canotta nero-argento, risultando essere ancora tra i più clutch e decisivi giocatori della Lega. 9 punti, 2.5 assist, 2 rimbalzi in 20 minuti di media, impegno, dedizione e classe infinita: il nativo di Bahia Banca è stata la seconda guardia più votata ad Ovest per l’All Star Game. Il voto di coach e giocatori ha ribaltato il risultato, proponendo l’avanzata di Harden, ma l’argentino può ancora contare sul voto tecnico per rientrare nelle riserve. Dovesse riuscirsi, sarebbe per lui il terzo (e probabilmente ultimo) All Star Game in carriera.
Ad un passo dal trasferimento fino a pochi mesi fa, Lamarcus Aldridge è in questo momento la testa ed il braccio della franchigia texana.

Il nativo di Dallas, infatti, insoddisfatto dall’impiego tecnico-tattico riservatogli da Popovich, aveva chiesto la cessione; poi una chiacchierata con il Coach ha risolto tutto.

E’ stato l’unico in 20 anni di carriera a chiedermi di essere scambiato. Non avremmo ottenuto nulla di buono in cambio, così ho deciso di farlo giocare al suo modo, senza vincolarlo sul perimetro. 

Così, dopo due stagioni in chiaroscuro, Aldridge sembra essere tornato quello di Portland (22.5 punti + 8.7 rimbalzi di media). Nonostante ciò, la sua presenza, unita a quella di un ristabilito Kawhi Leonard, risulta essere non sufficiente per rendere i San Antonio Spurs una vera contender.

DeJounte Murray, San Antonio Spurs – © 2017 Nike

Lentamente e piuttosto in sordina, però, Popovich ha già dato avvio all’ennesimo processo di rinnovamento. Davis Bertans, Kyle Anderson, Dejounte Murray, Bryn Forbes rappresentano, chi più chi meno, solide basi del presente e perni da cui ripartire nel futuro. Il tutto, si spera, senza mai dover dire addio alla Dinasty per eccellenza.