La dura legge del Pop: rivoluzione Spurs, nel segno di De Rozan

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Lamarcus Aldridge – Gregg Popovich @nba.com

Fatta eccezione per la rapida telenovela James – Lakers, la vera protagonista della Off-season NBA è stata senz’altro San Antonio, franchigia da sempre abituata a far parlare di sé in altri periodi. Da oltre vent’anni, infatti, gli Spurs rappresentano l’emblema della programmazione e della stabilità sportiva: un unicum in una Lega nella quale circolano, a velocità spasmodiche, persone e capitali. Una preoccupante età anagrafica media ed un trend di prestazioni e risultati in netto calo hanno fatto sì che la dirigenza nero-argento rivedesse le proprie politiche; la grana Kawhi Leonard (solo 9 match disputati l’anno scorso) e le dolorose separazioni da due leggende del calibro di Tony Parker e Manu Ginobili ci hanno messo il resto.
Nuovi volti, nuove caratteristiche, medesimi obiettivi: sì, perchè sulla panchina dei Texani resta inossidabile la leadership di Gregg Popovich, ultimo perno di quella che per due decadi ha rappresentato la “dinasty” per eccellenza, uno straordinario esempio di cultura dedito alla professionalità e al successo.

Il Kawhi-Drama e l’arrivo di De Rozan

Mai del tutto chiarita l’entità della rottura tra Leonard e i piani alti di San Antonio, divenuta ben presto insanabile a causa di divergenze sul recupero di quell’infortunio al quadricipite che ha tenuto ai box l’MVP delle Finals 2014 per quasi tutta la stagione.
Da una parte la ferrea volontà del giocatore, ostinato a voler lasciare il Texas per abbracciare mercati più ricchi e competitivi, dall’altra la rassegnazione della dirigenza a cedere la sua stella, a patto che fosse per una franchigia della Eastern Conference: così, tra Lakers, Clippers, Heat, Celtics e Knicks, l’hanno spuntata i Toronto Raptors, impacchettando DeRozan e Poeltl (più una scelta protetta al primo giro) direzione Alamo City, in cambio dello stesso Kawhi e di Danny Green. Team soddisfatti, giocatori meno: Leonard caldeggiava, infatti, lo scintillio di Los Angeles, mentre De Rozan è stato costretto a fare le valigie dal “suo” Canada. Tutto sommato, però, niente di sconvolgente, dato il rapido adattamento che entrambi sono stati in grado di compiere in poche settimane.

Addii, separazioni e nuovi arrivi

Se dal punto di vista tecnico la separazione da Leonard è stata piuttosto rilevante, nostalgia e tristezza hanno contribuito a rendere ancor più complicata l’off-season texana, segnata dall’addio al basket di Manu Ginobili e dal trasferimento a Charlotte di Tony Parker.
Percorso inverso, invece, per il nostro Marco Belinelli, che, concluse le parentesi negative di Sacramento ed Atlanta, ha prima trovato le porte chiuse per il suo rinnovo a Philadelphia e poi un braccio teso da Popovich e Messina, ansiosi di riportare a San Antonio uno dei protagonisti dell’ultimo anello.

Non meno importante l’arrivo del già citato Jacob Poeltl, giovane austriaco, tutto grinta e sostanza sotto canestro. Utile a Toronto come rifiato per Jonas Valanciunas, il centro 23enne può colmare le lacune fisiche di un Pau Gasol ormai sul viale del tramonto.

Il debutto stagionale

Gli Spurs hanno, di certo, un enorme credito da riscuotere con la dea bendata. Dopo appena due match di pre-season, infatti, Dejounte Murray ha subito la rottura del crociato, lasciando vacante lo slot di point-guard titolare per tutta la stagione. Sorte più benevola per il rookie Lonnie Walker IV, guardia atletica e versatile, della quale i nero-argento dovranno fare a meno fino a dicembre.
Alla sfortuna fa da contraltare il rapido adattamento di DeMar DeRozan ai dettami tecnico-tattici di Popovich. In appena 5 match stagionali, infatti, l’All Star di Compton è già diventato primo violino degli Spurs (27 punti + 8 assist è 6 rimbalzi in 38 minuti di media), candidandosi a formare con LaMarcus Aldridge una coppia di attaccanti vintage (date le loro caratteristiche) ma letali.

La profondità del roster permette all’iconico Coach dei Texani di adattare schemi e uomini in relazione agli avversari, giocando un basket diverso dai trend attuali ma sempre efficace e competitivo.
Il tasso tecnico della Conference non lascia spazio a grandi proclami, ma guai a scommettere contro gli Spurs: l’obiettivo playoff resta ampiamente alla loro portata.