I Philadelphia 76ers cambiano volto, ma il titolo rimane l’unico obiettivo

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Di cosa parleremmo oggi se quell’incredibile e rocambolesco tiro di Kawhi Leonard nel finale di Gara 7 avesse rimbalzato una volta di meno (o una volta di più) terminando così la sua folle danza qualche centimetro più in là del ferro? Toronto non avrebbe il suo storico titolo, Philadelphia se la sarebbe giocata in finale ad Est, ed il pazzo mercato estivo, magari, non sarebbe stato così pazzo: la Lega avrebbe avuto un’altra fisionomia.
Invece, quel tiro è entrato e l’NBA cambiata per sempre. Philadelphia è andata ad un centimetro dall’eliminare i futuri campioni NBA, più vicino di chiunque altro. Il Process, dunque, non ha avuto la conclusione auspicata ed in estate Phila ha cambiato nuovamente volto, sostanzialmente, perché costretta a farlo.

Una “scommessa” chiamata Al Horford

Avendo perso Jimmy Butler, il migliore dei 76ers ai playoffs (19.4 punti, 6 rimbalzi e 5.2 assist di media a partita), per decisione dello stesso Butler, Phila ha virato prepotentemente sulla riconferma di Tobias Harris, che ha firmato un corposo quinquennale da 180 milioni, e coi soldi risparmiati dal sign and trade di Butler, ha potuto anche impossessarsi dei talenti di mr. Al Horford, garantendogli un contratto da 109 milioni per i prossimi 4 anni. In una lega marchiata a fuoco dalla scomparsa dei lunghi, almeno quelli considerati come tradizionalmente tali, Philadelphia fa una scelta in chiara controtendenza affiancando Horford ad Embiid. In un certo senso, questa mossa rappresenta una scommessa, un tentativo di provare a costruire una squadra vincente partendo da qualcosa di diverso.

Horford è forse il lungo più versatile della Lega: grande giocatore di pick and roll, grande difensore e “rim protector“; sa trattare il pallone in maniera eccellente e la sua pericolosità da tre permette di aprire il campo notevolmente. Insomma, un innesto prezioso. Almeno uno tra Embiid e Horford sarà sempre presente sul parquet per Philly, il che vuol dire che difensivamente Philadelphia può essere tra le prime della pista. In più, “Big Al” è uno straordinario sostituto di Embiid nel caso in cui quest’ultimo dovesse rimanere fuori per infortunio: la perfetta soluzione al problema atavico di Philadelphia, incapace in questi anni di trovare minuti di qualità ogni qual volta costretta a fare a meno del proprio centro camerunese, storicamente martoriato dagli infortuni.

Vero è che Horford non sarà più il protettore del ferro della propria squadra, ruolo che aveva svolto egregiamente a Boston, dovrà difendere molto più di frequente le ali avversarie sul perimetro ed esser bravo, nella metà campo offensiva, a non occupare gli stessi spazi del compagno di squadra. Ecco perché a Philadelphia servirà come e più del pane avere la possibilità di aprire il campo con dei tiratori affidabili dall’arco.

Il nuovo assetto, con la speranza di una panchina “vera” per il prossimo anno

I Sixers hanno perso uno dei migliori tiratori dell’NBA, J.J. Redick, volato alla volta dei Pelicans. Una perdita davvero significativa. Il suo posto è stato preso in quintetto da Josh Richardson, arrivato via Miami dalla trade di Butler. Richardson non è certo un tiratore del calibro di Redick, ma è sicuramente un miglior difensore e la sua già solida pericolosità dalla linea dei tre punti (36% la scorsa stagione) può accrescere se assistita dalle pregiate mani di Ben Simmons. Sono stati poi rifirmati Mike Scott e James Ennis, due buoni tiratori da catch and shoot, ma nessuno dei due è davvero annoverabile nella élite della lega per questa specialità. C’è Tobias Harris, sempre più efficace sia nel costruirsi il tiro da tre dal palleggio che nel prenderselo dagli scarichi, ma potrebbe non essere sufficiente. Staremo a vedere, comunque sia la vera e più consistente toppa da mettere non è tanto relativa al discorso dei tiratori, quanto a quello della panchina, il tallone d’Achille di Philly della scorsa stagione.

Durante la passata regular season, la panchina di Philadelphia è stata disastrosa, non riuscendo ad andare oltre i 31.7 punti a partita, aggiudicandosi addirittura la 28esima posizione; quella dei Los Angeles Clippers, per intenderci, prima della classe in questa speciale classifica, ne ha fatti registrare 53.2. Un Abisso. Le cose, poi, non sono certo migliorate ai playoff: 12esima miglior panchina su 16 squadre partecipanti, con appena 27.2 punti di media a partita. Tra i panchinari, l’unico a salvarsi è stato Ennis, non a caso rifirmato, che comunque non è neanche andato vicino alla doppia cifra in fatto di punti (7.5). Davvero una miseria. D’altronde, avere Butler, Redick, Harris, Embiid e Simmons, tutti nello stesso quintetto di partenza, porta a delle pesanti controindicazioni, ed a Philadelphia lo avevano messo in conto. Ma la panchina, per come si presenta per la prossima stagione, non sembra aver fatto quel salto di qualità necessario, con Raul Neto, ex Utah Jazz, come unico nome di spicco. Tuttavia, nonostante gli evidenti limiti, Philadelphia ha tutto per poter ambire alla vetta della Eastern Conference.

“Trust the Process”

A Philadelphia si continua a credere nel Process – sebbene sia diventato un mero slogan, vedasi gli innesti da “all-in” di Butler ed Harris della stagione passata -, nell’unico senso rimasto, ovvero, riponendo totale fiducia nel giovane duo Simmons-Embiid. I due talentuosi ragazzi, rispettivamente di 23 e 25 anni, già all-star NBA, sono e saranno la base di Phila per diverse stagioni a venire. Molte squadre possono solo sognare di avere sotto pluriennale contratto una coppia di giovani così forti e già affermati. Eppure, affinché Phila possa veramente essere una contender per il titolo, è necessario che i due compiano il fatidico passo successivo. Per quanto riguarda Embiid, la questione è prettamente fisica. Il camerunese ha un talento immenso, tanto che il suo stesso corpo non sembra volerlo e poterlo contenere. Quando è in campo, ed al massimo delle sue possibilità fisiche, il centro numero 21 non sembra poter avere rivali. E tecnicamente non è ancora sbocciato del tutto.

Per Ben Simmons, invece, il problema è solo drammaticamente tecnico, e con un evidenza da tale da non ammettere repliche. E’ incredibile che un giocatore di quel talento, per doti fisiche e intelligenza cestistica da assoluto MVP della lega, non abbia un jump shot, ne qualcosa che gli si avvicini. E’ perfino straziante vederlo perso in campo nei momenti decisivi delle partite, quando non sa che posizione occupare in attacco, o in che punto mettersi per non essere d’intralcio nell’azione di gioco. I playoffs di quest’anno sono stati impietosi, in questo senso. Tutte le sue statistiche sono drasticamente calate rispetto alla stagione regolare, e di particolare effetto è il dato sullo usage: passato da 22.1 al 16.6 dei playoffs (“assorbito” in larga parte da Jimmy Butler).

Finché Simmons non metterà nel suo bagaglio tecnico un tiro che sia minimamente credibile, che non conceda, cioè, al difensore l’incredibile lusso di poterlo “aspettare” a 3 metri, Phila non potrà fare quel salto di qualità definitivo, oppure, sarà brutalmente costretta a privarsene nei finali di partita. Sarebbe, questa, un’umiliazione enorme per un talento così raro. Gli allenamenti estivi dicono che quanto meno Simmons ci sta lavorando sopra. Philadelphia, però, crede nell’australiano al 100%, come è giusto che sia. Simmons ha infatti firmato da poco un’estensione contrattuale che gli garantirà 170 milioni per 5 anni, a partire dalla stagione 2020/21. Il futuro ed il tempo sono dalla sua parte, mentre il presente ci dice che i Sixers di Simmons ed Embiid possono puntare con relativa sicurezza al primo posto ad Est.